BREVE CRONOLOGIA STORICA TIBETANA

Parte Prima:

Dalla protostoria alla caduta della dinastia di Yarlung

Questo è un tentativo di radunare notizie 'puramente storiche', tratte da vari testi, per un veloce colpo d’occhio sulle vicende affascinanti e per molti aspetti chiarificatrici dell’odierna situazione politica del Tibet.

Il territorio in cui si svolge questa storia è davvero esteso e sebbene abitato da una esigua popolazione, questa appartiene in buona parte a tribù per lo più nomadi, piuttosto diverse tra loro. Possiamo citarne solo alcune tra le più importanti: l’etnia tibeto-birmana, quella turco-mongola, gruppi dal Khotan e dal Turkestan cinese, Uiguri e Sciiti.

Circondato da imperi molto forti, quali la Cina, l’India e la Persia, cita un manoscritto di Dunhuang, il Tibet aveva bisogno di un capo, “per gli uomini dalle teste nere che sono senza sovrano”.

Dopo alcune dinastie mitiche che si perdono nella protostoria, arriviamo al re Songtsen Gampo, del quale conosciamo solo una data quasi certa, quella della sua morte nel 649 o 650.

Songtsen Gampo antico Re del Tibet

Songtsen Gampo

Egli apparteneva alla dinastia di Yarlung, dal nome di una piccola regione situata a sud di Lhasa dove le condizioni per l’agricoltura sono particolarmente favorevoli.

I precedenti re di questa dinastia avevano proceduto ad una sistematica conquista e assimilazione di quasi tutte le altre tribù tibetane ed avevano conquistato le terre che si stendevano ad occidente di Yarlung, nella sacra regione del monte Kailash. Lì erano entrati in contatto con un regno altrettanto antico anche se misconosciuto, quello di Zhangzhung, culla della religione Bon.

Da alcuni documenti tibetani si può dedurre che l’appellativo Bon fosse dato non solo ai religiosi, ma anche ad esponenti di casate nobili o a comandati militari, che provenivano dal regno di Zhangzhung, conquistato e assimilato al proprio da Songtsen Gampo nel 645. Proprio in questo regno del Tibet occidentale, la tradizione Bon ebbe origine da culti sciamanici delle steppe Tajike, commisti con l’induismo tantrico e shivaita dell’India settentrionale e del Kashmir, in un‘epoca non ben specificata, di certo anteriore all’arrivo del Buddhismo. Si può supporre che, siccome ai tempi di Songtsen Gampo il Buddhismo era ancora poco conosciuto, i rituali Bon avessero trovato seguaci anche tra la classe nobile e il popolo del Tibet centrale.

I nobili e i generali dello sconfitto Zhangzhung, certo tramavano per riprendersi il potere e il re Songtsen Gampo non ebbe mano libera nel patrocinare la causa buddhista. Ancora oggi nella storiografia Bon, Songtsen Gampo è da loro ricordato come l’assassino dell’ultimo re di Zhangzhung e i suoi successori, in particolar modo Thisong Detsen, come coloro che espulsero dal Tibet, saggi e preti Bon.

In questi anni si hanno conferme dei contatti tra il Tibet col Nepal, governato unitamente dalle dinastie Licchavi e Takhuri, aderenti contemporaneamente ai culti induista e buddhista, in un sincretismo religioso che assicurerà sino ai giorni nostri un’assoluta tolleranza tra le due religioni, che in talune rappresentazioni cultuali e rituali sono ormai in districabilmente connesse l’una all’altra.

Il famoso re nepalese Amśuvarman, descritto da un inviato cinese come “colto e ingenuo”, concesse una delle sue figlie come sposa a re Song tsen Gampo nel 639. La principessa si chiamava Brikuti, che in lingua nepalese significa “dalle sopracciglia aggrottate”, forse un segno del suo disappunto nel lasciare l’amena vallata di Kathmandu, che a quel tempo si chiamava Managriha, per le fredde ed inospitali terre del Paese delle Nevi.

Brikuti

La principessa Nepalese Brikuti

Altrettanto indispettita di trasferirsi in Tibet dalla civilissima e raffinata vita di corte cinese, fu la principessa Weng Chen, che il re Song tsen Gampo chiese all’imperatore della dinastia Tang.

A differenza di Amśuvarman, l’imperatore cinese era molto restio ad imparentarsi coi tibetani e fu solo nel 641 che, minacciato da questi ultimi addirittura di invasione, si risolse di mandare una principessa reale.

D’altra parte i rapporti tra le dinastie Yarlung tibetana e Tang cinese non furono mai facili; proprio Songtsen Gampo appena salito al trono nel 634, inflisse una sconfitta alla tribù dei Tuyuhun a nord del Kokonor, proprio ai confini con la Cina. Comunque Weng Chen, scortata da un ricco corteo arriva finalmente in Tibet, dove viene accolta con ogni onore e con gratitudine per i doni che aveva recato con sé. Le cronache tibetane infatti ci dicono che Kongjo, come venne chiamata la sposa del re, introdusse nel paese, col permesso del padre, il baco da seta, il mulino da macina, la carta, l’inchiostro, il vetro e l’alcool di riso. Le due spose straniere, Brikuti e Kongjo, sono ancora oggi venerate perché ritenute le prime a diffondere il Buddhismo in Tibet e sono identificate con la Tara verde e la Tara bianca, protettrici del paese.

Oltre alla principessa Wen Cheng e a Brikuti Devi, Songtsen Gampo, che aveva altre tre mogli, una dallo Zhangzhung, una nobildonna del clan Ruyong, figlia del re di Minyag, una di Mong.

Weng Chen

Weng Chen e Songtsen Gampo

Con un impero in espansione mancava ormai solo una lingua scritta, e la tradizione vuole la codificazione dell’alfabeto tibetano verso il 632, da parte di Tumi Sambhota, mandato a studiare in India o in Kashmir. Più verosimilmente l’alfabeto, l’ortografia e la grammatica, assai dotta peraltro, vennero formatesi tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo, anche se Tumi o Thonmi sembra una figura realmente esistita, il prototipo del tibetano valido e intelligente, che come altri conterranei, riesce a dare notevole prova di sé nei confronti di personalità appartenenti a popoli di più antica tradizione.

La costruzione dell’alfabeto secondo un modello indiano (a mio modesto parere invece forgiato sul contemporaneo alfabeto Licchavi in uso nella valle di Kathmandu) e non invece dagli ideogrammi cinesi, come sarebbe stato più appropriato, visto la somiglianza della lingua tibetana con quella cinese sillabica, più che con quella Sanscrita, dice molto riguardo alla scelta di associarsi almeno culturalmente con l’India piuttosto che con la Cina.

Non va dimenticato però che molti figli delle famiglie nobili tibetane frequentarono la scuola di stato in Cina per lunghissimo tempo, prima e dopo questo periodo e che sia il taoismo, come il confucianesimo lasciarono una traccia nella vita culturale delle classi agiate tibetane.

Sembrerebbe anzi che i primi adattamenti e traduzioni di opere, sia buddhiste che di altre tradizioni, siano avvenute dalla lingua cinese traslitterata in quella tibetana, come starebbero a testimoniare alcuni manoscritti di Dunhuang, probabilmente destinati a fornire un vero e proprio materiale scolastico.

Sul piano politico-militare però i rapporti non sono facili con questo potente vicino. I Tibetani infatti irriteranno la dinastia cinese Tang per almeno due secoli dal 634 all’822, e negli anni tra il 665 e il 692 riusciranno a sottrarre ai cinesi le regioni di Khotan, Kucha, Karashar e Kashgar.

Nel 692 i cinesi ricacciano i tibetani entro le loro terre e l’imperatore della dinastia Tang: T’ai Tsung, che si fa chiamare Cakravartin, parola sanscrita che indica il “Monarca universale che promuove la Dottrina Buddhista”, fa costruire il  monastero buddhista della Grande Nuvola nel Kirghisistan.

Alla morte di Song Tsen Gampo succede al trono il suo brillante ministro Tong Tsen Yulzung del clan dei Gar, che regge il potere per 17 anni; gli successero i suoi cinque figli che si stabilirono nella provincia orientale dell’Amdo, mentre i figli di Song Tsen Gampo regnarono su Lhasa..

Nel 700 circa il re della dinastia di Yarlung, Dusong, pone fine al potere parallelo, ma nel 703 il Nepal e le regioni Himalayane dell’India insorgono e Dusong perde la vita in battaglia; suo figlio Thide Tsugten, alias Mes Agtsom, riconquista il potere e sposa nel 710 un’altra principessa cinese Tang di nome Jin Cheng Gyim Shang, anche lei chiamata dai tibetani Kongjo, che potrebbe essere la madre del famoso re Thisong Detsen.

Nella famiglia reale tibetana della dinastia di Yarlung, l’apporto genetico cinese è stata tutt’altro che sporadico e ciò ha sicuramente influenzato la formazione politica e culturale dei suoi componenti.

Intanto in Cina era iniziato il lungo regno di uno degli imperatori cinesi più famosi, nel bene come nel male, Li Lung-chi, altresì conosciuto come Ming Huang-ti che tenne il potere dal 712 al 756.

Di lui vengono ricordate le riforme statali, la costruzione di scuole nei villaggi, le leggi per morigerare i costumi a corte ed il suo temperamento artistico.

Li T’ai Po e Tu Fu, i due maggiori poeti cinesi, godevano del favore imperiale e lo stesso Ming Huang-ti si dilettava a comporre poesie degne di figurare tra quelle dell’epoca.

Nel frattempo nelle sconfinate regioni dell’Asia centrale gli Arabi minacciavano da sud e da ovest il Tibet, mentre dallo Yunnam ad est era in corso un tentativo di aggressione alle frontiere orientali.

L’India e il Tibet chiesero aiuto ai cinesi e quest’ultimo firma nel 734 un trattato con la Cina affinché lo proteggesse dalle mire espansionistiche dello Yunnam.

Trisong Detsen

Tisong Detsen

La situazione tibetana migliora con l’ascesa al trono del giovane Trisong Detsen nel 755, perché lo Yunnam si allea di nuovo col Tibet, e negli stessi anni i tibetani arrivano nel regno indiano del Magadha per cercarvi reliquie di Buddha. Secondo alcuni storici si tratta di una vera e propria invasione, segnalata da un pilastro in ferro (mai ritrovato), posato sulla riva sinistra del Gange.

A supporto di questa tesi vale ricordare che i re della dinastia Pala del Bengala dovettero pagare negli anni 755 e 756 un tributo al Tibet e che probabilmente il regno del Nepal si trovò per un lungo periodo in una situazione di vassallaggio, che terminò solo nell’880.

La fortuna che continuò ad assistere le armate tibetane diede luogo ad un avvenimento emblematico anche se temporaneo: i Tibetani, alleatisi con gli Uiguri, presero nel 763 la capitale dell’impero cinese, la mitica Chang’an e misero sul trono un altro imperatore. L’impresa ebbe una breve durata di soli quindici giorni, ma non fu solo un episodio sporadico perché tra il 789 e il 790 i tibetani scacciano i cinesi persino dall’oasi di Beshbalik nel Turkestan e fronteggiarono anche gli Arabi di Harun al-Rashid  nella stessa regione nel 791. Il famoso califfo abbasside di Bagdad sarà alla fine vittorioso e inaugurerà nelle sue terre un lungo periodo di crescita culturale ed artistica.

Tornando agli affari interni del Tibet, si giunge alla prima effettiva penetrazione del Buddhismo, verso cui il giovane re Thisong Detsen, con la prudenza richiesta dall’ostilità di alcuni clan, aveva iniziato a manifestare interesse. Fu solo con l’uccisione in una imboscata del principale oppositore al Buddhismo, Mazhang Dompakye, che si poté operare con più vigore a favore della causa buddhista.

Selnang, del clan dei Ba, si sarebbe recato in India, al tempio della Mahabodhi di Bodhgaya e all’università di Nalanda per cercarvi testi sacri. Secondo alcuni durante il suo ritorno portò con lui dal Nepal il monaco buddhista Santarakshita, che lo avrebbe ordinato monaco conferendogli il nome di Yeshe Wangpo.

Sarebbe poi stato costretto a nascondersi nel Mangyul vicino alla frontiera nepalese ed è sempre in Nepal che avrebbe incontrato il celebre maestro tantrico Padma Sambhava, che è divenuto il patrono degli ordini (non riformati) del Tibet.

Siamo nel 775 quando Santarakshita lascia il Tibet, impotente nei confronti degli avversari della religione sciamanica Bon e dei clan nobili ad essa associati. La leggenda vuole che fosse lui stesso a suggerire al re di invitare Padmasambhava, che era originario della regione dello Swat (Pakistan settentrionale), già famoso anche come esorcista. Infatti era proprio di un “mago” che in quel momento il Tibet aveva bisogno per mostrare che la religione buddhista era in grado di sconfiggere i demoni quanto e più dei riti Bon.

Thisong Detsen fonda intorno al 775 il primo monastero buddhista in terra tibetana, il famoso ed ancora esistente Samye Gompa, costruito a forma di mandala, su modello dell’università indiana di Otantapuri (o di Nalanda), la cui costruzione richiese dodici anni e alla quale parteciparono, come donatori, le regine e i grandi ministri del regno.

Samye Gompa

Samye

All’inaugurazione si dice fossero presenti anche Padma Sambhava e Santarakshita, richiamato in Tibet e quest’ultimo, in quella occasione, ordinò monaci sette dotti uomini della nobiltà, ricordati come i “sette eletti”, che formarono il primo Sangha tibetano.

In questo periodo le relazioni sino-tibetane furono buone e la Cina inviò nel 781 due monaci buddhisti esperti nella predicazione che venivano sostituiti ogni due anni. Nel 791 il re promulgò un editto che proclamava il Buddhismo religione ufficiale il cui testo è visibile ancora oggi su un pilastro nei pressi di Samye.

Santarakshita e Padmasambhava

Shantarakshita, Padmasambhava e Trisong Detsen

Nell’792 si tiene a Samye il famoso dibattito tra gli esponenti cinesi del Buddhismo Chan, che proponevano il “cammino breve”, “la via immediata” e quelli della Scuola Mahayana indiana, rappresentata da Kamalasila, che proponevano il “sentiero graduale”. Gli esiti della disputa, anche se alcuni testi riportano la vittoria delle scuole del sentiero graduale, furono abbastanza incerti. Successivamente si assisterà comunque alla preminenza dell’influenza indiana, sia nei rapporti molto numerosi con i suoi maestri, che con la ricerca e la traduzione in tibetano dei testi dottrinali in sanscrito.

La successione dinastica dopo Thisong Detsen è confusa e incerta. Dei suoi due o tre figli, il maggiore fu avvelenato dalla sua stessa madre, forse per aver tentato di eliminare la povertà di molti suoi sudditi, mettendo in pericolo i possedimenti reali. Gli successe il figlio minore Thide Songtsen, il cui figlio e successore, Ralpalchen, fu l’ultimo re buddhista a regnare sino all’838.

Dopo la morte di quest’ultimo, suo figlio Tsangma, fattosi monaco, fu esiliato in Bhutan e salì al trono il fratello Langdarma nemico del Buddhismo. Si assiste così al ripristino della religione Bon e alla persecuzione dei monaci buddhisti, ed è interessante notare che una delle più grandi persecuzioni cinesi del Buddhismo avviene in Cina proprio in quegli stessi anni, cioè dall’ 842 all’846.

Langdarma viene assassinato nell’842 da un monaco buddhista, Palgyi Dorje di Lhalung, che si rifugiò poi nell’Amdo.

Con Langdarma termina la dinastia di Yarlung e il solo governo con autorità centrale che il Tibet abbia mai conosciuto, assistendo infine al frazionamento del potere tra le famiglie nobili e i monasteri. Sino al 17° secolo, quando si consoliderà l’autorità del Dalai Lama, si assisterà a ripetute lotte per il controllo del territorio che coinvolgeranno anche la Cina e varie tribù mongole, aprendo la porta per le successive ingerenze straniere.

tibet storia

Parte Seconda:

Dai Regni di Ngari all'invasione cinese.

Il potere della dinastia Yarlung sul Tibet centrale ebbe fine tra l’877 e il 937. Si ricorda che la dinastia nepalese dei Malla, salita al potere nel 1200, abbandona la datazione dei precedenti regnanti Licchavi in Saka era e adotta una nuova e sua peculiare datazione, facendo iniziare l’anno 1 nell’880 della nostra era. Molti storici ravvisano in questo anno la fine della sudditanza del Nepal al Tibet, quando il governo centrale cade e le provincie di U e Tsang sono travolte dalla guerra civile.

I due figli di Langdarma, Yumten e Wosung, si contesero il potere e regnarono separatamente, il primo nella provincia centrale di U, il secondo sulle terre ad occidente di questa. Seguì una guerra civile o una rivolta che si concluse con la profanazione delle tombe reali. Il figlio di Wosung, Palkortsen, sarebbe stato un devoto buddhista e riuscì a mantenere per un po’ il controllo di queste province (si dice che avrebbe fatto costruire cento templi), ma fu ucciso dai suoi sudditi; i suoi due figli presero l’uno lo Tsang occidentale, l’altro i tre paesi di Ngari. I figli e i nipoti del primo fondarono case principesche a Gungthang, nel Myang, nell’Amdo (a Tsongkha, paese natale di Tsongkhapa) e nello Yarlung, mentre i figli del secondo regnarono separatamente sui tre paesi di Ngari: Maryul, Purang e Guge.

Un ramo della linea del principato di Purang prese il principato di Yatse, all’estremità nordoccidentale del Nepal, antica capitale dei Malla,  prima che quest’ultimi, come abbiamo visto, conquistassero la valle di Kathmandu.

Da questo momento in poi le cronache tibetane ci forniscono solo aride liste di re e, come se non bastasse, a causa della mancanza di un metodo di datazione preciso, che verrà introdotto solo nel 1027 con l’adozione del sistema sessagenario cinese, si ha un “buco” di sessanta o centoventi anni nella cronologia tibetana.

Un poco più documentata è la storia dei tre distretti di Ngari che si trovano nel Tibet occidentale, facenti parte dell’antico regno di Zhangzhung prima di essere annesso al Tibet da Songtsen Gampo e nel quale le fonti tibetane pongono la sede di una religione che i tibetani assimilarono prima del Buddhismo, cioè il Bon.

La capitale era Khyunglung e la sua lingua, che è stata conservata da documenti antichi, resta ancora indecifrata, ma appartiene alla famiglia tibeto-birmana. (Rif. E. Haarh: The zhang zhung language – R.A. Stein: La langue zang zung du bon organise’).

Gli studiosi contemporanei tendono ad ipotizzare due differenti tradizioni Bon. La più antica è l’insieme dei riti sciamanici e delle credenze animiste, che ancora oggi circolano tra la popolazione himalayane. Questo insieme di credenze può essere pervenuto dalle popolazioni nomade Tajike, oltre ad avere possibili radici autoctone. La seconda tradizione sembra avere avuto inizio nel Tibet orientale (Kham Amdo), quando iniziò la penetrazione buddhista dall’India. L’affermarsi del Buddhismo come religione di stato, costrinse gli sciamani Bon a trasformare le loro tradizioni in una copia di quelle buddhiste se non volevano essere spazzati via. È opinione che la chiesa Bon odierna sia solo una replica del Buddhismo, ma che la vera, originale, antica tradizione Bon si possa trovare ancora nelle diffuse credenze che tuttora permeano la cultura tibetana. I rituali di guarigione fisica e mentale mediante l’allontanamento d’entità negative o la soppressione di forze malefiche, ricorda molto da vicino quelle degli sciamani delle regioni siberiane. È stato detto che le desolate terre degli altopiani, le estreme condizioni di vita cui molte persone sono esposte e  l’isolamento, siano state il terreno fertile per la nascita di un sistema di credenze che occupa a tutt’oggi la vita quotidiana e purtroppo permea anche alcuni aspetti del  Buddhismo a livello più popolare.

La storia del regno di Guge è molto importante nei riguardi della seconda diffusione del Buddhismo in Tibet. Il re Yeshe O, vissuto intorno all’anno mille, abdicò al trono e, insieme con i suoi due figli, si dedicò al ristabilimento della vera Dottrina, mandando monaci a studiare in India. Tra questi il monaco Rinchen Zangpo si distinse per la sua infaticabile opera di riesamina e traduzione dei testi, che lo pone, insieme ad Atisha, tra i riformatori del Buddhismo tibetano. Dietro suo consiglio Yeshe O invita molti maestri indiani a predicare in Tibet e ripetutamente chiede ad Atisha di recarsi in Tibet. Dopo aver sacrificato i suoi averi e la sua vita a questo obbiettivo, riesce finalmente nell’intento: Atisha arriva nel regno di Guge nel 1042, accolto dal nipote di Yeshe O, Chang Chub O, al quale si deve una delle più violente diatribe contro gli abusi degli  sciamani tantrici e di talune pratiche aberranti. La riforma che mirava al ristabilimento della disciplina monastica parte proprio da lui e il trattato di AtishaLa lampada sul sentiero dell’illuminazione” fu composto in Tibet proprio per sua espressa richiesta.

Atisha

Atisha

Atisha rimase per tre anni viaggiando tra i regni di Guge e Purang, prima di spostarsi nel Tibet centrale. I suoi tre discepoli, Khunton, Ngogton, Dromton, erano originari del Kham, dove il Buddhismo fu mantenuto vivo da maestri come il nepalese Smriti, che lì aveva fondato la scuola dell’Abhidharmakosa e che fu maestro di Setsun, a sua volta maestro di Dromton, che da lui imparò la lingua sanscrita.

Nel 1056-57 Dromton fondò il famoso monastero di Reting o Radeng poco a nord di Lhasa e l’ordine prese il nome di Kadampa, letteralmente “Coloro che seguono i diretti insegnamenti (di Buddha)”, e fu grazie anche alla sua abilità organizzativa se lo sforzo di Atisha in Tibet diede così tanti frutti.

Dromton tre anni dopo la morte di Atisha, si ritirò da ogni carica pubblica e, seguendo gli insegnamenti del suo Maestro, decise di trascorrere in meditazione il resto della sua vita.

Quando si hanno nuovamente alcuni riferimenti storici nell’XI secolo, si vede che il potere in Tibet è ormai nelle mani dei monasteri e degli ordini religiosi e che i principi e le case nobiliari sono soltanto sostenitori e benefattori di questo o quel gruppo ecclesiastico.

Lentamente, ma inesorabilmente, la fede Buddhista ha finalmente conquistato tutto il paese, anche se la Dottrina ha subito deterioramenti ed infiltrazioni del Tantrismo scivaita, situazione che costringe il re del Purang ad una pubblica denuncia degli abusi dei tantristi che, prendendo alla lettera le istruzioni di alcuni Tantra, si davano a pratiche aberrati come l’assassinio, lo stupro e il cannibalismo.

Nella regione occidentale di Tsongka si forma un regno che durerà sino al 1100, iniziato da un principe proveniente dal Maryul, che era buddhista e che intratterrà contatti con la Cina della dinastia Song, con gli Uighuiri, e con lo stato di Xi Xia. Questo è il famoso regno dei Tanguti. una tribù tibeto- birmana che dai suoi territori di origine a nord di Burma, si sposta nella regione compresa tra il Kokonor a sud e l’Alashan a nord, tra l’Amdo ad ovest e il deserto dell’Ordos a est e vi fonda un regno buddhista che dura dal 1032 al 1226, anno in cui venne conquistato e distrutto da Gengis Khan, che morì proprio per una ferita di freccia riportata in quella difficile battaglia. I rapporti tra tibetani e tanguti, che hanno molti tratti etnici e culturali comuni, si alterneranno tra scambi fruttuosi e scontri sanguinari. In mezzo a tutto questo la mitica città di Dunhuang, che i tibetani controllarono dal 787 al 851 e che ha rivelato tra i suoi preziosi manoscritti molti rotoli contenenti cronache relative agli avvenimenti del Tibet, fonti insostituibili per ricostruire la sua storia e che poi entrò a far parte dei territori dei Tanguti, che la arricchirono con altri testi e opere d’arte buddhista.

Ritornando al regno di Tsongka possiamo dire che qui troviamo la più variegata assemblea di buddhisti che si possa immaginare: vi scoviamo monaci giunti da Khotan, fuggiti dopo la conquista musulmana del 1006, monaci provenienti dal Tibet centrale scampati dalle persecuzioni, alcuni provenienti dal Ladakh ed infine un illustre Bonpo indigeno convertito al Dharma. Si continuerà negli anni a venire con la scuola dell’Abhidharmakosa fondata da Smriti, un monaco errante proveniente del Nepal, che insegnò il sanscrito a Dromton, che diverrà il più importante discepolo di Atisha. Tramite il traduttore Vairochana si ha pure la tradizione degli Dzogchengpa, che si riallaccia alle pratiche dei Mahasiddha indiani e ha molti punti di contatto con la scuola cinese Chan, anche grazie a Vimalamitra, uno dei maestri di quest’ordine che si reca in Cina, dopo essere stato in Tibet. Grazie a questa vitalità e studio si prese la decisione di ristabilire la Dottrina anche nel Tibet centrale, restaurando il monastero di Samye e fondandone altri.

È interessante ricordare che solo un’opera tibetana ricevette l’approvazione e le lodi di Atisha, “Ingresso allo yoga del Mahayana” composta da un vecchio bonpo, Yazi Bonbon, che aveva ricevuto gli insegnamenti di sette tradizioni dell’India e sette tradizioni della Cina.

Dogmi che visse tra il 992 e il 1074 portò dall’India l’insegnamento del Cammino e Frutto “Lam ‘bras” secondo il quale il Risveglio, cioè il Frutto, è già colto lungo il Cammino. Il suo discepolo, Konchog Gyalpo, fondò il grande monastero di Sakya nel 1073 che diede origine alla scuola dei Sakyapa.

Giungiamo così a Marpa vissuto tra il 1012 e il 1096, che si recò ben tre volte in India dove incontrò molti illustri maestri tra i quali il più importante fu sicuramente lo Yogi Naropa, dal quale ebbe gli insegnamenti della Mahamudra e i Sei Principi, conosciuti anche come i Sei Yoga di Naropa. Tradusse dal sanscrito una cinquantina di opere e diede inizio alla scuola dei Kagyupa. Nel suo terzo viaggio per l’India Marpa incontra Atisha in prossimità della città tibetana di Gyangtse. Sebbene Atisha l’avesse un poco criticato (così si legge nella biografia di Marpa) per l’uso che quest’ultimo faceva di sostanze alcoliche durante le pratiche tantriche, conferì a Marpa l’iniziazione di Vajramala e gli diede la notizia che Naropa era morto e lo invitò a restare con lui come interprete. Marpa non accettò recandosi ugualmente in India dove, dopo una ricerca affannosa “incontra” per l’ultima volta Naropa che gli conferisce uno degli ultimi insegnamenti, quello del “Trasferimento del principio cosciente”, che a sua volta Marpa trasmetterà a suo figlio Tarmadode, che però morendo in giovane età, non comunicherà l’insegnamento ad alcuno, interrompendo tale lignaggio.

Il più famoso discepolo di Marpa sarà Milarepa e un discepolo di questi, Gampopa, fonda il ramo dei Dagpo, che conserverà legami dottrinali coi Kadampa e dal quale avranno origine altre importanti suddivisioni quali i Karmapa, i Digungpa, i Phagmodupa, gli Tsalpa i Talungpa e i Dugpa, che svolsero tutti un ruolo politico notevole negli anni successivi.

Gampopa, ordinato monaco all’età di 26 anni, incontra Milarepa nel 1122 circa e per 13 mesi studia con lui le Dottrine di Naropa e lo yoga del Fuoco Mistico, nonché gli insegnamenti completi della Mahamudra. Passò molti anni in ritiro e, nel monastero di Dvagslha, unisce le Dottrine della scuola Kadampa con le sue proprie realizzazioni della Mahamudra, ponendo così le basi dell’ordine dei Kagyudpa.

Un altro yogi indiano che percorse il Tibet in quegli anni fu Dampa Sengye che insegnava la pratica dello Zhi byed, la “Mitigante” del dolore e che fu maestro di Macig Labdonma, la “madre” della pratica del gcod, la dottrina che insegna la “recisione” dei demoni, quali l’orgoglio, l’egocentrismo, il compiacimento e così via.

Segue un periodo di frazionamento, potenziamento e diffusione degli ordini monastici sin qui delineati che controllano e si uniscono con famiglie nobili in tutto il territorio tra alleanze e dispute, non solo dottrinali. Si giunge così all’entrata in scena dei Mongoli con Gengis Khan, che sottomise il Tibet centrale nel 1206, stipulando però con i tibetani un trattato diplomatico che salvò dalla guerra quelle regioni.

Nello stesso anno il sovrano mongolo prese contatti coi Sakya, e il suo successore, Khubilai Khan, invitò a corte anche rappresentanti dei Karmapa. I mongoli cercavano tra i tibetani una persona di loro fiducia che potesse esercitare sul Tibet una forte autorità in loro vece. La scelta cadde alla fine sul dotto Sakya Panchen (Sakya Pandita) che conferì l’iniziazione a Godan, figlio di Khubilai, e fu da questi ossequiato con un decreto del 1249 che conferiva ai Sakyapa le provincie di U e Tsang.

Quando Khubilai fu proclamato imperatore della Cina nel 1260, conferì a Phagspa, l’allora abate dei Sakya, la reggenza per conto dei mongoli di tutte le 13 province del Tibet.

Ma gli altri ordini monastici non rimasero inattivi: i Digungpa scelsero come protettore il fratello maggiore di Khubilai, Hula u, e divennero padroni della provincia di U e del feudo di Ne’udong, e nel 1285 invadono con un esercito il Chayul nel Tibet meridionale e con l’aiuto dei mongoli attaccano i monasteri Sakya. Tuttavia i Sakyapa con l’aiuto dell’esercito del figlio di Khubilai, Temurbukha, e di un contingente di tibetani dello Tsang, incendiano il tempio di Digung nel 1290. Però poco dopo con l’intervento degli stessi Sakya e donazioni dell’imperatore i monasteri furono ricostruiti.

Anche i Karmapa continuavano ad essere ricevuti alla corte in Cina, stabilendo solide basi nel Kham e nel Tibet sud-orientale, dove con la loro autorità morale e con la potenza delle loro postazioni militari, riescono a sedare le numerose dispute che oppongono le tribù indigene ai principati, i seguaci del Buddhismo a quelli del Bon.

Nel frattempo un nuovo ordine fece la sua comparsa, quello dei Gelugpa, fondato da Tsong Khapa, che era appunto nato nella regione dello Tsongkha, ma che si era molto presto trasferito per studiare nelle province centrali del Tibet e che nel monastero Kadampa di Reting compose la sua grande opera in due volumi, il Lam rim e il sNgags rim. Fu da questi trattati che prese forma la “Riforma” dell’ordine Kadampa, che dapprima diede origine ai “nuovi Kadampa”, poi divenuti famosi come i Galdenpa, dal nome del monastero di Galden, che gli allievi di Tsong Khapa costruirono per il loro maestro ed infine presero il nome di Gelugpa “i Virtuosi”, per la loro stretta osservanza delle regole monastiche del Vinaya rinnovando e purificando l’etica dei monaci tibetani.

Tsong Khapa visse tra il 1357 e il 1419 e la sua fama di grande erudito gli valse un invito alla corte cinese che però egli rifiutò, inviando il suo discepolo Jamchen Choje Shakya Yeshe che ricevette in Cina il titolo di “re della religione” e che fondò nel 1419 il monastero di Sera, mentre un altro discepolo aveva fondato nel 1416 il terzo grande monastero nei pressi di Lhasa, quello di Drepung, su modello di un monastero tantrico indiano.

Sera Me

Sera, Tibet

Intanto, dopo soli 108 anni di regno, i mongoli della dinastia Yuan si erano ritirati oltre la muraglia ed erano ritornati nelle loro terre di origine, inabili a governare un paese tanto vasto come la Cina.

Ma le forti tribù mongole non erano uscite di scena, nei loro vasti territori ai confini del Tibet continuavano a dettare legge. Il capo dei mongoli Tumet: Altai Khan, fu convertito al Buddhismo dall’abate di Drepung, Sonam Gyatso, che visse tra il 1543 e il 1588. I principali protettori del suo ordine, cioè i Gelugpa, erano della casa nobiliare dei Phagmodugpa, che però si era divisa in due rami, uno dei quali appoggiava i Karmapa. Sonam Gyatso si vide costretto a ricorrere all’aiuto del potente mongolo per mantenere l’influenza del suo ordine in U e Tsang e nel 1578, in occasione di un loro incontro, Altai Khan conferì a Sonam il titolo di “Dalai”, che traduce in mongolo il termine “Gyatso” che significa “oceano”, sottintendendo che il suo maestro era un “Oceano di Saggezza”.

Il primo Dalai Lama, che però diviene il terzo, avendo attribuito il titolo retroattivamente a due dei suoi predecessori, viaggia nel Kham, nell’Amdo, nella Mongolia interna e nella regione del Kokonor, ottenendo anche l’appoggio delle tribù mongole dei Chahar e dei Khalkha. Non a caso la quarta reincarnazione del Dalai fu trovata nella persona di un pronipote di Altan Khan, che però appena assunta la carica, col nome di Yontan Gyatso, si trovò minacciato dai capi di Tsang e dai Karmapa. Questi ultimi però indebolirono il loro potere con lotte armate tra i “cappelli neri” dell’Amdo e i “cappelli rossi” dello Tsang. Le truppe mongole dei Tumet si scontrarono con gli eserciti dello Tsang per proteggere sia il 4° che il 5° Dalai Lama, e l’intervento definitivo si ebbe con il loro nuovo capo Gushri Khan. Questi si era stabilito nel Kokonor nel 1637 e aveva annientato dapprima, nel vicino Kham, il principato di Beri, di religione Bonpo; sottomise poi anche il resto della regione che era sotto influenza dei Karmapa. Nel 1642 scese nello Tsang, ne distrusse i principati e conferì al 5° Dalai Lama, Ngagwang Lobsang Gyatso, il dominio sia politico che religioso sull’intero Tibet, imponendogli allo stesso tempo un reggente mongolo che lo affiancasse.

I regni dell’ovest invece avevano dovuto fronteggiare l’invasione musulmana che spazzò via il regno di Guge nel 1631, mentre il Ladakh fu minacciato dai Moghul del Kashmir e dai governatori dello Tsang. In quella regione si era stabilito un ramo dei Kagyupa, quello dei Dugpa, che aveva fondato tra il 1602 e il 1642 il grande monastero di Hemis. L’ordine dei Kagyu era potente anche nel Bhutan e nel Sikkim, mentre i Karmapa si videro sequestrare dai Gelugpa i monasteri dei loro protetti della scuola Jonangpa accusati di eresia.

Il quinto Dalai Lama rifece il censimento dei monasteri e regolò le loro entrate e loro contributi. Fu anche l’iniziatore della dignità dei Panchen lama del monastero di Tashilunpo, fondato da quel discepolo di Tsongkhapa che fu poi considerato come il 1°Dalai Lama. Nel 1600 l’abate di questo monastero, Chokyi Gyaltsen aveva aiutato il 5° Dalai Lama e da questo fu proclamato l’incarnazione di Amitabha. Si fecero risalire le incarnazioni anteriori sino ad un discepolo diretto di Tsong Khapa, che è considerato il primo Panchen lama. Il più anziano dei due abati conferiva iniziazioni all'altro.

Il quinto Dalai lama fece costruire a Lhasa il palazzo del Potala, dal nome della residenza di Avalokitesvara del quale il Dalai è considerato incarnazione. La costruzione procedette dall'anno 1645 all'anno 1694 e divenne da allora la residenza invernale dei Dalai Lama.

Potala

Il Potala

Ma gli antichi antagonisti non erano scomparsi. I mongoli Khoshot di Gushri Khan, stabilitisi nello Tsaidam e nel Kokonor, dovettero affrontare il re degli Dzungari, Galdan, che aveva fondato un regno nel Turkestan. L'allora reggente del Dalai Lama si era preso come alleato il re Galdan, mentre il re Khoshot era alleato dell'imperatore cinese, che stava fronteggiando le tribù degli Dzungari. Il reggente aveva riconosciuto come sesto Dalai Lama un giovane, Tsangyang Gyamtso, che non faceva mistero di preferire le compagnie femminili allo studio della Dottrina. Adducendo a pretesto questa condotta il re dei Khoshot attaccò Lhasa e uccise il reggente, portando via il sesto Dalai Lama che morì poco dopo, all'età di vent'anni. Quindi impose un settimo Dalai Lama che però i tibetani rifiutarono, rivolgendosi agli Dzungari che invasero il Tibet e sconfissero il re dei Khoshot. La Cina reagì immediatamente e Kangxi mandò un esercito che entrò in Lhasa nel 1720: il vero settimo Dalai Lama, riconosciuto come incarnato dalle autorità religiose, fu posto sul trono del Potala, le mura di Lhasa furono demolite e una guarnigione cinese fu installata in città, mentre il Kham fu annesso alla provincia cinese del Sichuan, instaurando così un protettorato cinese che doveva durare sino alla caduta della dinastia Qing nel 1912.

A Lhasa la Cina era rappresentata da una piccola guarnigione e da due ministri, gli Amban, che suggerivano anche le loro candidature alle cariche di Dalai e Panchen Lama, che, insieme a quelle proposte dalle autorità religiose, venivano poi estratte a sorte da un'urna alla loro presenza..

Urna per l'estrazione dei Dalai Lama

Urna per l'estrazione delle candidature a Dalai Lama

Ma nell’insieme il protettorato cinese fu tollerabile e, a partire dal 1750, il “re” o reggente di Lhasa non fu più nominato dalla Cina e il Dalai Lama fu tacitamente riconosciuto come sovrano del Tibet, ad eccezione dei distretti di Amdo e Kham che divennero integralmente parte del territorio cinese come provincia del Qinghai. La Cina protesse il Tibet contro le invasioni straniere, in particolare quella dei nepalesi Gurkha, scoppiata la causa della scoperta che le monete d'argento in uso in Tibet che furono fin dai secoli passati coniate dai Nepalesi, avevano ingannevolmente un tenore d'argento via via sempre più basso e che gli stessi mercanti nepalesi non le accettavano più come cambio! Per molti anni i commerci tra i due paesi cessarono quasi del tutto e il Tibet, non volendo svalutare la propria moneta, si trovò suo malgrado a fronteggiare, tra il 1788 e il 1792, l'esercito dei Ghurka che voleva imporgli questa iniqua soluzione.

I Dalai Lama che si successero sul trono del Potala dopo il settimo, furono o politicamente  insignificanti o morirono molto giovani, presumibilmente avvelenati dai reggenti che non volevano perdere la loro carica.

Alcuni Panchen Lama invece si distinsero e istituirono stretti contatti con la corte cinese, iniziando la tradizione che vide molti Panchen in contrasto con i Dalai specie in questioni di politica estera. In questo settore si assiste anche ad una progressiva chiusura del Paese con l’esterno, che proibì a studiosi ed esploratori di visitare le sue terre, decisione che non aiuterà il Tibet nelle successive vicissitudini. 

Il Tredicesimo Dalai Lama, Thubten Gyamtso, che visse tra il 1875 e il 1933, assiste al crollo in Cina della dinastia Manciù e cerca di ottenere senza successo una maggiore indipendenza del proprio paese. In quegli anni si accosta alla Russia, ma l’Inghilterra preoccupata dal possibile spostamento degli equilibri in quella parte dell’Asia, invade Lhasa nel 1904. La Cina non rimase inattiva e a sua volta manda un esercito a Lhasa nel 1910, col risultato che il Dalai Lama dovette fuggire in India.

Ma quando in Cina scoppia la rivoluzione Maoista il Dalai Lama, rientrato al Potala, si dichiara libero dai legami di vassallaggio che lo legavano agli imperatori cinesi. Nuovamente la Cina non rinuncia alle sue prerogative sul Tibet e rifiuta di firmare il trattato che gli conferisce ufficialmente il Kham e l’Amdo in cambio del riconoscimento della sovranità del Tibet centrale. Quando Mao tse tung conquista il potere nel 1949 il Tibet viene occupato militarmente, mentre l’attuale Dalai Lama  è impossibilitato a compiere qualsiasi tentativo a causa della sua minore età e dagli ostacoli che le strutture medioevali del paese ponevano ad una soluzione diplomatica o militare della crisi. Si giunge così al 1959, quando in seguito ad una sommossa scoppiata a Lhasa per opera dei partigiani Khampa, si assiste ad un inasprirsi della pressione cinese e il  Quattordicesimo Dalai Lama, Tenzin Gyatso, prende la sofferta decisione di rifugiarsi in India, seguito da migliaia di profughi tibetani.

La situazione odierna è risaputa a coloro che si interessano del Tibet e alla sua cultura. Tuttavia dalla sua storia passata, si comprende quali siano state le circostanze che hanno condotto a questa tragica dominazione cinese.

Il Buddhismo tibetano parla di karma dei popoli e in questa luce possiamo leggere gli accadimenti, anche se ciò non ci salva dalla tristezza di vedere innocenti imprigionati e torturati dai cinesi che applicano a tutt’oggi una vera e propria politica di genocidio e indiscriminata repressione.

Associazione Italia Tibet

Ci auguriamo che alcune delle innovazioni apportate recentemente in Tibet possano aiutare la popolazione nel servirsi degli ospedali e delle scuole che una volta non esistevano, e che i cinesi ed i tibetani insieme possano finalmente trovare un modo equanime e sereno di convivere.

SARVA MANAGALAM!

Tratta dai Blu annali del Tibet e da altre fonti bibliografiche 

Giovanna Piana e Max Di Palma, Marzo 2005

Per ulteriori informazioni in lingua inglese visitiate il sito del Governo Tibetano in esilio: http://www.tibet.com oppure in italiano: http://www.italiatibet.org