Nalanda

nalanda

La storia di Nalanda, l’antica città universitaria del Bihar, risale ai giorni del Buddha e del Mahavira Jina, nel sesto secolo avanti Cristo. Con ogni probabilità il sito era all’inizio soltanto uno dei luoghi relativamente sicuri, in cui i pellegrini, gli asceti e gli yogi soggiornavano. La scelta di simili posti per riposare e radunare intorno a sé uditori e fedeli era dettata dalla mancanza di pericoli come briganti e animali feroci e dalla vicinanza di un centro urbano che fornisse sostentamento agli asceti e al loro seguito. La grande città di Rajgriha che sorgeva poco lontano, era la capitale del regno di Maghada e la località di Nalanda era considerata, allora come oggi, uno dei suoi sobborghi, trovandosi tra l’altro vicino alla strada che collegava Rajgriha con il grande centro urbano di Pataliputra, la capitale del regno del Kosala. Era perciò un crocevia di persone, idee e modelli culturali e religiosi senza pari nell’antico mondo indiano.

Esistono molte versioni di cosa significhi il termine “nalanda”. La più accreditata combina “nalam” loto con “da” dare, dove loto si suppone stia per conoscenza, perciò: “il luogo dove si dà conoscenza”.
Sia Buddha che il Mahavira risiedettero spesso a Nalanda durante la stagione delle piogge.
Le Scritture Buddhiste rivelano che almeno in un’occasione sia Buddha che Mahavira si trovassero a Nalanda nello stesso periodo, ma non esiste cronaca che attesti un loro eventuale incontro..

Le antiche fonti Buddhiste dicono che Ashoka, l’imperatore Maurya, fece edificare nel terzo secolo a.C. un tempio in quella località. Sicuramente l’università vera e propria, cioè il complesso di scuole e di templi conosciuto col nome di Malanda Mahavihara, (grande monastero di Nalanda), esisteva al tempo del grande filosofo buddhista Nagarjuna, che qui studiò e insegnò sul volgere del secondo secolo A.D.
In ogni modo gli scavi archeologici non hanno rivelato nulla che risalga prima dell’epoca Gupta, nulla che provi che il sito fosse occupato prima del quinto secolo A.D.

I reperti più antichi sono, infatti, una lastra di rame con un’iscrizione del re Samudragupta, forse il più gran sovrano dei Gupta, che regnò dal 335 al 370 A.D. e una moneta di suo nipote Kumaragupta, regnante dal 414 al 455 A.D.).
Entrambi i re aderivano alla religione induista, ma furono tolleranti nei confronti del buddismo, e molto sensibili alle maniere per sviluppare la cultura e l’arte nel loro impero.
Durante il regno di Samudragupta si ha notizia di un’ambasceria mandata dal sovrano di Sri Lanka per chiedere il permesso di costruire a Bodhgaya un monastero per i pellegrini cingalesi. L’imperatore Kumaragupta I, grande mecenate delle arti, creò a Nalanda un’accademia artistica.

Tuttavia anche importanti dinastie straniere furono prodighe di doni ed elargizioni. Si ricorda che il principe Balaputradeva della potente dinastia Shailendra che regnò a Java e che sovrintese nell’isola alla costruzione del Borobudur, fu un patrono di Nalanda e vi fece costruire nel 9° secolo un monastero.
Fa-Hsien, che visitò la regione nel quinto secolo, non cita le imponenti fondazioni monastiche di Nalanda, ma Hiuen Tsang, che arrivò lì nel 637 durante il regno di Harshavardhana (606-647 A.D.) riferisce del grande monastero, che il grande imperatore della dinastia Kannauj, dotava di generosi sussidi.

I corsi di studio a Nalanda comprendevano le scritture Buddhiste sia della scuola Theravada che di quella Mahayana, i Veda, gli Hetu Vidya (trattati di logica), i Chikitsa Vidya (manuali di medicina), gli Shabda Vidya (testi di grammatica) e altro ancora presumibilmente anche corsi sulle scritture Vediche.

L’università continuò a ricevere l’alto patronato delle dinastie regnanti che si succedettero nel governo del Bihar, ultimi, ma non meno importanti, i re della dinastia Pala.

Il centro attirò maestri e studenti da ogni parte dell’Asia e lo studioso cinese Hiuen Tsang ricevette qui il nome indiano di Mokshadeva, segno che certamente seguì i corsi di buddismo e di lingua sanscrita durante i cinque anni della sua permanenza, dal 637 al 642, che gli permisero una volta tornato in patria di tradurre in cinese i testi buddhisti portati dall’India.
Infatti si ha notizia che gli studenti e i maestri provenissero da varie parti dell’India, della Cina, dal Giappone, dalla Mongolia, dalla Corea, dal Tibet e da Shri Lanka.
L’attività di Nalanda come centro della teologia buddista e d’attività educative e culturali continuò fino alla fine del 12° secolo, all’approssimarsi delle invasioni musulmane.

nalanda scavi

Le rovine del sito furono scoperte da Francis Buchanan nel 1812 e sebbene egli non le identificò con Nalanda, ma riportò le notizie che i locali gli diedero. I Brahmini dissero che il posto era Kundinapura, il luogo di nascita di Rukmini, moglie del dio Krishna, mentre i preti Jainisti affermarono che la regione era anticamente abitata dal Raja Srenika, un Jainista loro antenato.

Fu Sir Cunningham che identificò quest’area, nella campagna di scavi del 1861-1862, come le rovine della ormai da molto tempo perduta, ma mai dimenticata, perché sempre presente negli scritti indiani, Università Monastica di Nalanda.
Gli scavi hanno rivelato nove livelli successivi di occupazione dell’area, che è una delle più estese tra i siti archeologici indiani.

Si pensa che abbia ospitato sino a 10 000 studenti a 1500 insegnanti e sono stati portati alla luce i resti di tre biblioteche e di sei monasteri.

Nalanda è un impressionante complesso di stupa (edifici votivi), chaitya (templi) e vihara (monasteri).
Sono facilmente identificabili i livelli costruiti durante i Gupta (Quinto Secolo A.D.) e i re Pala del Bengala (12° Secolo A.D).

Come a Vikramasila c’è un grande stupa in posizione centrale la cui mole, anche se giunta a noi menomata, è ancora oggi impressionante. Si può notare che era circondato da scalinate e ampie terrazze dove si trovavano magnifiche sculture. È stato accertato che fu oggetto di sette successivi interventi che lo ingrandirono e lo abbellirono. La parte sommatale che ospitava il reliquiario conteneva probabilmente una statua colossale di Buddha, come il piedistallo ancora in loco starebbe ad indicare.

sculture a Nalanda

Una lunga fila di fondamenta di monasteri è visibile lungo la direttiva nord-sud del sito. Il meglio conservato tra questi è quello la cui entrata è formata da un portico sorretto da colonne che sostengono il tetto, tutto ancora visibile. Il monastero ha un cortile centrale scoperto che ospita un tempietto con una statua di Buddha, circondato dalle stanze dei monaci, che alloggiavano anche al piano superiore, come testimonierebbe la scala trovata nell’angolo sud-orientale dell’edificio.
L’area a tutt’oggi scavata ammonta a 14 ettari, tutti gli edifici erano in mattoni rossi ed erano separati da un’ampia strada pavimentata che andava da nord a sud, che divideva i monasteri nel lato est dai templi disposti nel lato ovest.

Vihar di Nalanda

Fortunatamente molti di questi piccoli e grandi “chaitya” contenevano ancora bellissime statue di Buddha raffigurati in varie mudra, che sono ora visibili nel piccolo museo annesso agli scavi. È da notare che anche molte statue di divinità hindu sono state trovate nel sito, segno che esso era meta e luogo di riferimento anche per gli esponenti e seguaci della religione Brahmanica.

Maestri Indiani a Vikramashila - Nalanda - Otantapuri

Atisha Dipankara Shrijnana studiò a Otantapuri sotto la guida di Dharmarakshita che essendo uno Shravaka, cioè un uditore, obbligava il suo discepolo a dipartirsi da lui ogni sette giorni, perché secondo la regola Mahayana, a cui Atisha si atteneva, era proibito intrattenersi più a lungo con uno Shravaka.

Atisha nacque presumibilmente in Bengala, da una nobile famiglia, col nome di Chandragarba (Essenza Lunare). La dea tutelare della sua vita, Arya Tara, gli apparve in giovane età e ciò fece in modo che egli non aspirasse al potere mondano, ma fosse indotto a cercare un maestro di Dharma.

Vicino alla grande città di Rajagriha il cui moderno agglomerato urbano si trova oggi come allora poco a sud di Bodhgaya e poco a nord di Nalanda, incontrò il suo primo maestro, Rahulaguhyavajra, uno yogi che lo iniziò al ciclo di Hevajra. Ascoltando esposizioni tantriche e precetti raggiunse il grado di utpannakrama e quello di sampannakrama, colui che si è elevato e colui che si è perfezionato.

Per sette anni divenne l’attendente del venerabile Avadhutipa che aveva ottenuto la più alta realizzazione, per tre anni praticò una rigorosa disciplina mentale nel paese di Oddiyana (india del nord ovest) Mentre poneva in lui solidamente il metodo Vajrayana ebbe un sogno dove Shakyamuni lo esortava a prendere i voti. All’età di ventinove anni prese l’ordinazione da Silakshita che era lo Sthavira della scuola Mahasaghika.

Fino all’età di 31 anni studiò quasi tutto il Tripitaka delle quattro scuole: Mahasanghika, Sarvastivadin, Sammitiya e Sthaviravadin. Per due anni studiò ad Otantapuri sotto la guida di Dharmarakshita che apparteneva alla scuola degli Shravaka.

Il maestro Jnanashrimati lo istruì nella Prajnaparamita e dopo di lui Atisha visitò il Venerabile Dharmakirti, che lo aiutò a compiere lo sforzo per creare la Mente Creativa verso l’Illuminazione.

Nel trattato composto da Nam kha pel “bLo sbyong nyi ma’i ‘od zer” cioè “Lo studio come i raggi del Sole” viene ricordato il più importante Maestro di Atisha, Dharmamati conosciuto nei come testi col nome di Ser ling pa, cioè l’uomo dell’isola dorata. Infatti Dharmamati risiedeva a Sumatra costringendo Atisha ad un periglioso viaggio durato 13 mesi e ad un non comodo soggiorno di 12 anni. Da questo maestro, ottenne le basi per il suo addestramento mentale e con lui pose le basi e le peculiari caratteristiche del suo futuro insegnamento.

Fu nominato Mahasthavira dell’Università di Vikramashila e lì lo trovò l’emissario tibetano che lo invitava a predicare il Dharma nel Paese delle Nevi.

Secondo gli storici tibetani e indiani Vikramashila fu fondata verso la fine dell’ottavo secolo dal re Dharmapala, anche conosciuto col nome di Vikramshila, cioè “dalla salda moralità” che passò l’appellativo molto ben appropriato all’università.

Il re Dharmapala,che regnò tra il 770 e l’ 815, apparteneva alla dinastia dei Pala che dominò sul Bihar e sul Bengala ed ebbe inizio col re Gopala, padre di Dharmapala, arrivato al potere sconfiggendo i Gupta, per terminare nel tredicesimo secolo soverchiata dai Sena, che avevano il loro centro più ad est, nel Bengala.

Protettori del Buddhismo i regnanti Pala hanno lasciato nella loro area di influenza tesori artistici che saranno il modello di tutta la produzione futura in Asia. Un’iscrizione su lastra di rame ritrovata a Nalanda riferisce che il re Devapala dedicò nell’850 la rendita di cinque villaggi al mantenimento del monastero, che già esisteva al tempo del Buddha, ma che venne ricostruito dal principe Shalendra della dinastia javanese dei Balaputradeva.

Alla fine del XII° secolo si ebbe la distruzione del centro buddista di Vikramashila, ma non è certo se per opera degli invasori mussulmani del condottiero Bakhtiyar Khilji o per mano degli osservanti della religione Bhramanica. Secondo lo studioso e monaco tibetano Dharmasvamin, che visitò il sito poco dopo la sua distruzione, tra il 1234 e il 1236, tutti gli edifici erano stati rasi al suolo e le pietre di fondazione gettate nel Gange. Per identificare il sito sul quale sorgeva Vikramashila gli archeologi si sono basati su resoconti come questo e sul dettagliato racconto che Bromton dedica alla sua missione in quella università. Il citato monaco tibetano fu mandato dal monaco Chang chub ‘O ( Byang chub ‘Od ) ad invitare in Tibet il venerabile maestro Atisha, che era a quel tempo tra i Pandit più rinomati dell’università. La storia di Bromton descrive l’arrivo col suo compagno di viaggio Nag tsho, al far della notte, dopo aver attraversato il Gange e aver asceso una ripida collina.

Negli anni ottanta l’Archeological Survey of India intraprese una campagna di scavi vicino alla città di Bhagalpur sulla riva destra del Gange e precisamente ad Antichak nello stato del Bihar a circa duecento chilometri a est di Nalanda.

Il professore K.M.Shreevastava ex direttore dell’ Archeological Survey of India e attualmente ricercatore Senior dell’Indian Council of Historical Research, ha pubblicato un articolo nel 1987 nel quale vengono descritti dettagliatamente quali edifici sono stati ritrovati e riconosciuti, come il grande stupa centrale, una entrata dal lato settentrionale vicino alla quale sono stati ritrovate le tracce di ostelli eretti per ospitare gli studenti.

Negli antichi “Blu Annali” della storia del Tibet, è altresì narrata la missione dei monaci Bromton e Nag thso che arrivando a Vikramashila di notte e non sapendo come entrare si disposero fuori dal cancello ad aspettare e nel recitare le loro preghiere in tibetano furono sentiti da un loro compatriota, rGya brTon ‘grus sen ge che dimorava in uno dei ricoveri. RGya brTon ‘grus sen ge riconobbe dall’idioma parlato dai due appena giunti, ma non fu in grado di farli entrare perché presumibilmente l’ingresso di notte era sbarrato.

Il primo guru indiano a visitare il Tibet fu Shantarakshita. A quell’epoca, secondo i Blu Annali, il re Khri lde gtsug btsan aveva già fatto costruire numerosi Vihara ed invitato alcuni monaci buddisti dalla Cina a predicare il Dharma in Tibet. Egli stesso onorò la Dottrina, ma il suo potente primo ministrò vanificò i suoi sforzi espellendo i monaci dal paese, trasformando i Vihara in macelli e facendo deportare l’immagine di Buddha, che si trovava a Lhasa, fino al villaggio di Khirong, al confine col Nepal. Il re tentò ripetutamente di richiamare i monaci cinesi inviando alla corte imperiale due suoi fidati emissari; Sang shi e gSal snang. La loro missione non ebbe successo perché fu loro detto che il Tibet era il campo d’azione di un solo particolare Maestro, la sola persona che avrebbe potuto avere una possibilità di fare accettare ai tibetani l’ordinazione nel Sangha, e questo Guru era il Maha Upadhyaya Shantarakshita.  GSal snang fu dunque inviato a cercare il Maestro, che incontrò in Nepal e con il quale ebbe lunghe conversazioni sul Dharma; insieme si accordarono per diffondere la parola di Buddha in Tibet. Successivamente gSal snang si recò a Bodhgaya e ritornò poi in Tibet senza Shantarakshita. Questa sua manchevolezza venne punita dal re che mandò alla ricerca del Guru un altro suo fido ed una volta che l’upadhyaya giunse in Tibet, il re, abbastanza inspiegabilmente, lo sottopose ad una verifica da parte dei suoi ministri. Essi domandarono a Shantarakshita quale fosse la sua dottrina, al che egli rispose che la sua Dottrina era da seguire solo se la sua correttezza era stata provata dal ragionamento; tutto ciò che non soddisfacesse il raziocinio doveva essere rigettato. Questa risposta fu riferita al re e questi allora lo invitò nel suo palazzo a Samye, dove Shantarakshita espose al re molte dottrine, comprese quella delle dieci virtù e quella dei diciotto elementi.

Ma gli dei e i demoni del Tibet divennero irati: una carestia si abbatté sul paese, il palazzo fu trascinato via da un’alluvione e una grande epidemia causò molte sofferenze. Questi avvenimenti incoraggiarono i ministri, già contrari al Buddismo e variamente coinvolti con il culto sciamanico, a richiedere l’espulsione del Guru dal paese. Shantarakshita stesso ammise la sua impossibilità di convincere i tibetani della bontà della dottrina buddista dicendo:”Andrò in Nepal, gli asura, cioè i demoni, del paese delle nevi sono seccati e scontenti. Nel paese di Jambudvipa c’è un grande Matrin , cioè un Saggio eloquente, di nome Padmasambhava. È lui la persona che dovete invitare, inviate subito qualcuno a cercarlo.” Quando Shantarakshita raggiunse il Nepal trovò che Padmasambhava risiedeva momentaneamente in quello stesso paese. I messaggeri del re gli comunicarono subito l’invito di recarsi in Tibet e il Matrin accettò. Sul suo cammino ebbe un assaggio delle difficoltà che lo aspettavano, perché le dodici dee guardiane cercarono di fermalo, ma egli le sottomise, le convinse a convertirsi e a diventare da allora in poi guardiane della dottrina. Il suo viaggio continuò tra molti altri incidenti causati dalle divinità sciamaniche o dagli sciamani stessi che non volevano perdere la loro influenza, ma il Maestro ebbe ragione di tutti gli attacchi ed arrivò a Samye, dove nel 787 pose le fondamenta del  monastero di Samye..

Il monastero di Samye venne perciò inaugurato nell’anno 791,alla presenza del Maha upadhyaya Shantarakshita,ritornato in Tibet e durante i riti di consacrazione anche la statua di Buddha deportata a Khirong,fu installata nel tempio di Phrul snang.

Il vihara, costruito su modello a forma di mandala del famoso tempio e università buddista indiana di Odantapura o Otantapuri, è ricordato come essere il primo fondato in Tibet, deducendo che il racconto dei vihara fatti costruire dal re Khri lde gtsug btsan, come riportato nei BLU ANNALI, è soltanto una elegia nei confronti del re.

Il monastero appartenente alla scuola non riformata dei Nyng ma pa era già in rovina agli inizi del novecento, pochi monaci ancora vi abitavano e molti templi erano già in stato di abbandono; l’invasione cinese portò a termine la distruzione bombardandolo e saccheggiandolo durante l’invasione degli anni sessanta. 

Si può concludere la storia della prima diffusione del Dharma in Tibet riconoscendo che il re Khri srong lden btsan agì come Protettore e sovrano illuminato-Dharmaraja-, Shantarakshita come Eccellente Maestro-Maha Upadhyaya, mentre Padmasambhava agì come portatore della conoscenza-Vidyadhana e come esorcista tantrico.

Si ricorda inoltre che dei tre lignaggi di ordinazione esistenti in Tibet, Shantarakshita fa parte del primo di essi, derivando dall’ Acarya Nagarjuna (II° secolo A.D.), attraverso Bhavya, Shrigupta, Jñanagarbha e Shantarakshita stesso.

L’acarya Asanga nacque a Purushapura, l’odierna Peshawar, nel 290 dopo Cristo da una famiglia di casta Brahmana e fu dapprima seguace della scuola Hinayana.

In seguito, insieme al fratello o fratellastro Vasubandhu, molto più giovane di lui, aderì al sentiero Mahayana.

Asanga era un dotto appartenente alla scuola dei Sarvastivadin, fu un gran propagatore della dottrina ed è ricordato per aver classificato i Sutra in quelli “diretti” Nita artha ed “indiretti” Neya artha .

Il suo lavoro più famoso e senza dubbio lo “Yogacara – bhumi”, “Gli stadi della Pratica Yoga” qui intesa come pratica spirituale. Nel testo sono presentate in dettaglio tutte le scuole Buddiste del tempo, suddivise in auditori (Shravaka), indipendenti (Pratyekabuddha), e Bodhisattva.

Il testo contiene anche il Bodhisattva –Bhumi, circolato come un lavoro separato e commentato dai più dotti Pandita del suo tempo e di quelli a venire.

Asanga lavorò estensivamente per propagare il sentiero Mahayana per 40 anni, fu insegnante ed abate nella famosa scuola buddista di Nalanda e si spense verso il 360 o 370.

Appunti:

Chandragomin fu maestro a Nalanda nel 7° secolo. vedere “I venti versi dei voti del Bodhisattva” di Chandragomin

Anche se sembra paradossale il Buddhismo perse completamente la sua influenza in India, il paese dove nacque tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo.

(Giovanna Piana & Max Di Palma, Recco 26/2/2005)