ATISHA
Atisha
nacque nell’anno 980 o 982 in Bengala, nel regno di Zahor, da una nobile famiglia,
col nome di Chandragarba -Essenza Lunare-, secondo di tre figli maschi del re
Kalyanshri e della regina Prabhavati, della famiglia reale di Guada nel distretto
di Vikramapur, a est di Bajrasana.
Il
villaggio di Vajrayogini, nella regione di Vikrampur, non lontano dall’odierna
capitale del Bangladesh, Dhaka, ne rivendica i natali. Un cumulo a poche miglia
dal grande fiume Meghna è ancora identificato col nome di “Nastik Panditer Bhita”,
che significa “La casa ancestrale dello studioso ateo”. Sebbene le successive
generazioni bengalesi abbiano dimenticato il nome di Atisha, particolarmente
dopo il declino del buddismo nel 13° e 14° secolo, egli sopravvisse nella memoria
collettiva come un anonimo studioso ateo, contrapposto ai seguaci della religione
brahmanica, e solo grazie alla biografia di Atisha, contenuta nel Canone tibetano,
è stato possibili risalire a questo luogo, che a dispetto delle vicissitudini
che intercorsero in un millennio di storia, porta ancora il nome Vajrayogini,
di indubbia appartenenza buddista.
La
dea tutelare della sua vita, Arya Tara, gli apparve in giovane età e fece in
modo che egli non aspirasse al potere mondano, ma fosse indotto a cercare un
insegnante di Dharma. Il suo primo maestro, secondo alcune fonti, fu Jetari,
un dotto tantrico molto famoso all’epoca dei fatti. Fornendo prova di essere
un brillante allievo, diventò in poco tempo esperto in grammatica, buddismo
Theravada e Mahayana e Tantrismo. Sconfisse in dibattito esponenti di altre
religioni mediante l’approfondimento della logica e della filosofia. Vicino
alla grande città di Rajagriha, il cui moderno agglomerato urbano si trova,
oggi come allora, poco a sud di Bodhgaya e poco a nord di Nalanda, incontrò
quello che per alcuni è il suo primo vero maestro, Rahulagupta, proveniente
da Krishna Giri, località dell’India meridionale. Questo yogi, che lo iniziò
al ciclo di Hevajra ed ad altri sistemi esoterici, gli diede il nome Guhyajnanavajra,
che è indicativo dei rituali tantrici segreti che sicuramente gli trasmise.
Ancora in giovane età raggiunse il grado di utpannakrama e quello di sampannakrama,
colui che si è elevato e colui che si è perfezionato e a soli 19 anni fu ordinato
novizio col nome di Dipankara Srijnana nel famoso Vihara di Otantapuri.
Per
sette anni divenne l’attendente del venerabile Avadhutipa, che aveva ottenuto
la più alta realizzazione, per tre anni praticò una rigorosa disciplina mentale
nel paese di Oddiyana (India del nord ovest). Mentre poneva in lui solidamente
il metodo Vajrayana ebbe un sogno dove Shakyamuni lo esortava a pronunciare
i voti. All’età di ventinove anni prese l’ordinazione completa e i voti del
Bodhisattva, dal famoso Acarya Shilarakshita, che era lo sthavira della scuola
Mahasanghika.
Fino
all’età di 31 anni studiò quasi tutto il Tripitaka delle quattro scuole: Mahasanghika,
Sarvastivadin, Sammitiya e Sthaviravadin. Per due anni studiò a Otantapuri
sotto la guida di Dharmarakshita, che apparteneva alla scuola hinayana degli
Shravaka, cioè era un uditore, costringendo il suo discepolo a dipartirsi da
lui ogni sette giorni, perché secondo la regola Mahayana, a cui Atisha si atteneva,
era proibito intrattenersi più a lungo con uno Shravaka.
Il
maestro Jnanashrimati lo istruì nella Prajnaparamita e dopo di lui Atisha visitò
il Venerabile Dharmakirti, che lo aiutò a compiere
lo sforzo per creare la Mente Creativa verso l’Illuminazione. All’eta di 32
anni si unì ad un mercante di gemme per recarsi a Sumatra ad incontrare colui
che, nel trattato composto da Nam kha pel “bLo sbyong nyi ma’i ‘od zer” cioè
“Lo studio come i raggi del Sole”, viene ricordato come il più importante Maestro
di Atisha, Dharmamati, conosciuto nei testi col nome di Ser ling pa, cioè l’uomo
dell’isola dorata. Infatti Dharmamati risiedeva a Sumatra, costringendo Atisha
ad un periglioso viaggio durato 13 mesi e ad un non comodo soggiorno di 12 anni.
Con questo maestro, dai contemporanei considerato come il più grande erudito
di tutta l’Asia, pose le basi per il suo addestramento mentale, e sviluppò le
peculiari caratteristiche del suo futuro insegnamento. Durante il viaggio di
ritorno visitò l’isola di Shri Lanka e all’eta di 44 anni fu nominato Mahasthavira
dell’università di Vikramashila, prendendosi
cura nei 15 anni successivi anche di altri centri di studio, come Vajrasana,
Somapuri,
Nalanda, Odantapuri. Secondo la testimonianza
del monaco tibetano Ngokton, che visitò l’India all’epoca dei fatti, sia Otantapuri
che Vikramashila erano già in decadenza; nel Lam rim chen po di Je
Tsong Khapa è riportato uno stotra (inno di lode) in 80 stanze, di Ngokton,
che dice testualmente: “A Otantapuri c’erano 53 monaci, a Vikramashila circa
un centinaio…”. Altri parlano di 108 professori e 8000 studenti che affollavano
l’università di Vikramashila in quegli stessi anni e la discrepanza non si spiegherebbe
se non ammettendo che si adombra ancora un passato glorioso che ormai non esiste
più.
Inoltre
le cifre riportate (108- 8000) sono peculiari della numerologia buddista e anche
se le cifre di Ngokton ci appaiono molto riduttive, non dobbiamo dimenticare
che fu testimone oculare e che soggiornò a Vikramashila per circa un anno.
Il
corso di studi presieduto da Atisha comprendeva Theravada e Mahayana, scienze
sociali, Veda, Vedanta, Upanishad, filosofia, logica, medicina, scienza, astronomia,
e altro. Studenti da ogni parte dell’India, come dalla Cina, Tibet, Ujjaini,
Turkestan e Nepal, venivano a studiare in questa università, essendo quella
di Nalanda in uno stato di decadenza ancora peggiore. Anche se le dottrine Mahayana
e Tantrica nacquero proprio in quest’ultima università, fu a Vikramashila che
esse furono sviluppate ed arricchite e trovarono il modo di diffondersi per
tutti i paesi dell’Asia, proprio grazie anche all’attività missionaria dello
studioso Bengalese Dipankara Srijnana, che come abbiamo già ricordato era uno
dei Maha Acarya -Grande Maestro- del Vikramshila Mahavihara,
e lì lo trovarono gli emissari tibetani che lo invitavano a predicare il Dharma
nel Paese delle Nevi.
Nei
Blu Annali è affermato che Ngokton si era recato l’anno precedente in India
per incontrare Atisha, ma non gli era stato possibile convincerlo a seguirlo
in Tibet. Il re di Guge Yeshe O aveva allora raccolto molto oro, da accompagnare
all’invito, ma era stato fatto prigioniero dal re di Garlog, che probabilmente
mirava proprio a quell'oro. Infatti per il rilascio di Yeshe O fu chiesto un
riscatto in oro pari al suo peso. Suo nipote Chang chub O si prodigò molto,
ma non essendo in grado di raggiungere il peso stabilito, si appressò al cancello
della prigione, cercando di rassicurare lo zio che anche il rimanente oro sarebbe
stato trovato, ma Yeshe O lo persuase a destinare il riscatto all’impresa per
cui era stato originariamente raccolto. “Sono ormai vecchio e di poco aiuto,
gli disse il re, l’unica azione meritoria che possa fare è quella di sacrificare
la mia vita per realizzare il nostro sogno di avere il Pandita Dipankara Srijnana
tra di noi”.
Chan
chub O convoca nuovamente Ngokton e, consegnandoli una barra d’oro, lo esorta
a recarsi in India e a portare a termine la sua missione, ma anche questa volta
Atisha rifletterà a lungo prima di accettare l’invito di recarsi nelle lontane
regioni del Tibet. La storia del regno di Ngari o Guge, nel Tibet occidentale,
è poco conosciuta. Si sa che fu fondato verso il 9° secolo dai figli del re
Wosun, successore del re Langdarma, appartenente alla dinastia Yarlung, che
resse il Tibet centrale dal 7° a 9° secolo, e che permise la prima diffusione
del buddismo nel paese. Langdarma tentò invece di restaurare l’antica religione
Bon, appoggiato da molti nobili, che avevano precedentemente perso il potere,
ma fu assassinato da un pio buddista per mettere fine alla persecuzione nei
confronti della sua fede. Fu in seguito a questi eventi che si assistette a
crollo della dinastia Yarlung e dell’impero tibetano, mentre il regno di Guge
si espanse sia ad est che ad ovest, inglobando le province centrali di U e Tsang,
arrivando sino alla città di Shigatze. La capitale di questo regno fu Tsaparang,
ornata di splendidi templi e monasteri, ma già in rovina dopo le invasioni kashmire
del XVII° secolo. All’inizio dell’anno mille il re della casa reale di Guge,
Yeshe O, aveva inviato alcuni monaci in Kashmir alla ricerca di testi e maestri
buddisti. Tra questi monaci c’era colui che diventerà il famoso studioso e traduttore,
Rinchen Zangpo. Fu al loro ritorno che il re sentì parlare del grande Acarya
Atisha e si convinse che solo la sua autorità avrebbe potuto combattere le eresie,
che nel campo dei Tantra in particolare, avevano preso piede tra il Sangha.
Ponderato
per bene il suo viaggio, dopo aver ascoltato varie opinioni, Atisha partì da
Vikramashila nel 1040 e si recò prima di tutto a Bodhgaya, per rendere omaggio
al luogo dove Buddha raggiunse l’illuminazione. Visitò altri sacri luoghi e
raggiunta la capitale del regno del Nepal, Kathmandu, si fermò lì per un anno.
Fu in questo periodo che scrisse la famosa lettera al re di Maghada, Nayapal.
Questo testo, conosciuto come “Vimala Ratna Lekhanama, è considerato un classico
esempio di esortazione alla compassione per tutte le creature, rinuncia ai pensieri
e alle azioni malvagie, per condurre il re all’umiltà, alla rinuncia e all’amore
universale. Mentre si trovava in Nepal compose anche un trattato intitolato
“Carya Samgra Pradipa”, avvalendosi della premurosa accoglienza che il re nepalese
Yashananda gli riservò, e fondò il monastero di Stham o Tanbhehari, stabilendovi
una comunità di monaci.
Quando
si mise in viaggio verso il Tibet percorse la via di approccio seguita da molti
pellegrini hindu, che lo portò attraverso Palpa in Nepal, al lago Manassarovar,
sotto il monte Kailash, nel Tibet occidentale, dove arrivò nell’anno 1042.
I
primi tre anni furono dedicati alla riforma della religione, alla diffusione
della Vera Dottrina, ponendo le fondamenta del buddismo Mahayana in Tibet. I
momenti salienti di questo periodo sono la grande reverenza mostratagli dal
re di Guge e la sua grande devozione. Questi altro non era che il nipote di
Yeshe O, morto presumibilmente nelle prigioni di Garlog, il monaco Chan chub
O, conosciuto nei testi anche col nome sanscrito di Budhiprabha /Splendore della
Buddhità. Questo discepolo è nominato da Atisha stesso nel suo più famoso e
fondamentale trattato, il “Bodhipata
pradipam-Lampada sul sentiero dell’Illuminazione”, come colui lo pregò di
comporre l’opera, perché rimanessero in forma scritta le regole prescritte dal
Maestro per ottenere il Risveglio, secondo i più alti e puri sistemi filosofici
Mahayana. Questo testo è composto da sole 66 stanze, sloka, ma la sua brevità
non va a discapito della sua chiarezza, al contrario l’esposizione magistrale
e chiara dei principi per comprendere la vera natura della realtà e degli stadi
per sviluppare la mente altruistica, ne fanno un classico della letteratura
buddista, ancora studiato spiegato e commentato in tutte le comunità e durante
gli incontri di studio.
Un
altro incontro dalle fruttuose conseguenze fu quello tra Atisha e l’ottantacinquenne
Rinchen Sangpo o Ratnabhadra -Essenza del Gioiello-, che si convertì alla visione
del Maestro.
Nei
Blu Annali è riportata la storia del loro incontro, che ebbe luogo nel monastero
di Tholing, fondato da Rinchen Sangpo col patrocinio del re Yeshe O. Le pareti
del Vihara erano affrescate con le figure delle divinità dei Tantra inferiori
e superiori e, ammirandole, Atisha compose per ognuna di esse un verso laudatorio.
Quando si sedette infine sui tappeti, il Lotsava gli chiese chi fosse l’autore
di questi versi e rimase molto colpito quando seppe che Atisha stesso li aveva
composti estemporaneamente. Qui vi è già un accenno delle doti particolari di
Atisha nel campo della lirica e del canto. Quindi il Maestro si informò di quali
dottrine Rinchen Sangpo fosse a conoscenza e si meravigliò molto della vastità
del suo sapere. Indagando però su come egli intendesse la pratica dei Tantra
e capendo che erroneamente il tibetano li praticava “separatamente”, passò alla
spiegazione del “Magico Specchio del Vajrayana” –Gsang sngas ‘phrul gyi me long-.
Grande
fede e ammirazione sorsero in Rinchen Sangpo e coll’aiuto del Maestro corresse
la sua traduzione dell’Astasahasrika - brgyad stong pa - col commentario di
Haribhadra, del Vimshati Aloka -Nyi khri snang ba- e l’esteso commentario sulla
Astasahasrika Prajnaparamita.
Tutti
questi testi verranno poi quattro secoli più tardi racchiusi nel Tanghyur, dove
sono rintracciabili e dove sono specificate le modalità di compilazione dei
testi stessi. I tibetani, al pari degli indiani, non sono accreditati come storici
autorevoli, solo gli avvenimenti più salienti sono ricordati nelle loro cronache;
al contrario sono molto scrupolosi quando si parla di Dottrina e di testi sacri,
specificando per ognuno la provenienza, l’autore del testo e dell’eventuale
commentario, l’originale titolo in sanscrito, in caso di testi indiani, le modifiche
o le correzioni apportate, l’approvazione da parte di prestigiosi maestri, tracciando
così un dettagliato excursus, che finisce per essere anche una valida traccia
storica.
Ritornando
all’incontro tra Atisha e Rinchen Zangpo, è riportato nei Blu Annali che il
Maestro indiano richiedesse al lotsava tibetano di agire come suo interprete,
ma che quest’ultimo rifiutasse adducendo motivi di età e, puntando il dito verso
la sua testa canuta, dicesse “ La mia mente è andata (!), non sono in grado
di essere di aiuto”. A sua volta chiese consiglio al Maestro circa le tecniche
di meditazione. “Oh grande Lotsava, le sofferenze di questo mondo fenomenico
sono difficili da sopportare! Ci si dovrebbe prodigare per il beneficio di tutti
gli esseri viventi. Pratica la meditazione senza tregua”, rispose Atisha. Al
che Rinchen Sangpo eresse un eremitaggio con tre porte, una dietro l’altra :
sulla prima scrisse che se oltrepassatala dovesse sorgere in lui un pensiero
di attaccamento al mondo fenomenico, possano i Guardiani della Dottrina tagliare
la sua testa all’istante; sulla seconda scrisse che ugualmente la stessa fine
avrebbe fatto se al di là di questa sorgesse in lui un pensiero di interesse
personale, mentre sulla terza porta scrisse che ugualmente la sua testa fosse
staccata dal corpo, se in lui sorgesse anche un singolo pensiero ordinario,
ciò non conforme alla Legge. Questo ribadisce che la visione di Atisha, alla
quale Rinche Sangpo aderisce, era per una totale integrazione dei tre sentieri,
quello del Pratimoksha, quello del Bodhisattva e quello dei Tantra.
Si
racconta che dopo la partenza del Maestro, Rinchen Sangpo meditasse per dieci
anni in questo ritiro, secondo la tecnica della concentrazione su un solo punto
e avesse la chiara visione del Mandala di Sri Samvara. Si spense all’età di
novantasette anni, dopo essersi prodigato, insieme ad Atisha, per ristabilire
il sentiero virtuoso tra i Kalyanamitra del paese di Ngari, fondando numerosi
monasteri nel Guge, Purang, Ladak e Zanskar. Quello di Tabo nello Spiti conserva
ancora oggi i meravigliosi affreschi degli artisti kashmiri che Rinchen Sangpo
aveva invitato nel Guge, gli stessi che decorarono anche il monastero di Tholing,
con le divinità ammirate da Atisha.
Passarono
così i primi tre anni della permanenza di Atisha in Tibet, e, come si era in
precedenza accennato, probabilmente il Maestro era partito da Vikramashila con
l’intenzione di ritornarvi, per far fronte agli impegni che la sua carica di
rettore comportava, anche nei riguardi delle altre università indiane. La biografia
di Atisha narra però che il ritorno fu rimandato, perché i valichi col Nepal
erano chiusi a causa di uno stato di guerra di quel paese col Tibet, situazione
che rendeva gli spostamenti poco sicuri, se non impossibili.
È
in questo periodo che si colloca l’incontro del Maestro col suo più famoso discepolo,
Dromton, che proveniva dalla regione orientale del Kham, dove era nato nell’anno
del serpente femmina di legno, cioè nel 1005 A.D. Rimasto orfano di madre in
giovane età e non andando d’accordo con la matrigna, cercò un lavoro lontano
da casa ed essendo un ragazzo sveglio imparò a leggere e a scrivere velocemente.
Mentre si trovava nella regione di Zu incontrò il suo primo maestro, Se btsun,
che viaggiava dal Kham verso l’India e il Nepal. Passato al suo servizio, fece
ogni tipo di lavoro, dal macinare la farina al mandriano dei cavalli e delle
mucche. Armato di frecce, lancia e spada e su di un buon cavallo, come racconta
lui stesso, nella sua bellissima biografia di Atisha, protesse le mandrie del
suo maestro dai briganti, ma ricorda pure che nel macinare il grano o l’orzo
teneva accanto a sé un libro, continuando gli studi con grande diligenza. Nelle
vicinanze viveva un noto maestro in grammatica di nome Acume Grammatico -Thorn
–sgra’i thser ma- e con lui studiò gli alfabeti Vartula e Lantsa. Quest’ultimo
è la forma ornata dell’alfabeto Devanagari, conosciuto anche col nome di Ranjana,
usato esclusivamente nella compilazione di testi religiosi in lingua sanscrita.
Venne adottato dai tibetani e dai cinesi per inserire brevi testi o Mantra in
sanscrito nelle traduzioni, enfatizzando così il carattere autentico di queste
trascrizioni.
(La
possibilità di traduzioni scorrette o testi spuri è un problema sempre presente
nella trasmissione delle dottrine, di qualsiasi specie o epoca si tratti, e
nella letteratura tibetana non poche dispute sono sorte sull’autenticità di
alcuni testi dottrinali).
Acume
Grammatico aveva studiato in India e raccontò al suo allievo che durante la
sua permanenza in quel paese, il più grande Maestro era Naropa, ma che con ogni
probabilità questi era ormai o molto anziano o scomparso, e che un altro monaco
di discendenza reale, chiamato Dipankara Srijnana, si apprestava a diventare
un’ autorità negli insegnamenti buddisti. Sentendo questo nome una grande fede
sorse in Dromton, insieme ad un grande desiderio di incontrarlo.
Quando da alcuni viandanti seppe che Atisha si trovava a Ngari, chiese
il permesso al suo maestro, Se btsun , che glielo concesse, insieme ad un mulo
carico di libri. Durante il lungo cammino verso occidente incontrò molte persone
che apprezzarono il suo sapere, e nel paese di Gyal ricevette i precetti di
upasaka (zelatore laico) da Zan chen po, mentre con Ka ba Sakya dban phyug,
ebbe una conversazione circa la possibilità di invitare Atisha nelle province
del Tibet centrale.
Nel
frattempo Tara, la Divinità protettrice di Atisha, aveva profetizzato al Maestro
che stava per incontrare il suo upasaka entro tre giorni. Felice Atisha prepara
accanto al cuscino il vaso con l’acqua per l’iniziazione e lo benedice recitando
mantra. Ma a mezzogiorno del quarto giorno nessuno era arrivato e Atisha, un
po’ deluso, arriva a pensare che la venerabile Tara gli avesse mentito. Con
disappunto uscì per onorare un invito a pranzo da un sostenitore laico, quando
per strada si scontra faccia a faccia con Dromton. Senza dire una parola quest’ultimo
si unisce al seguito di Atisha e del burro che gli venne offerto durante il
pranzo non ne consuma, ma lo tiene da parte per offrirlo in una lampada la sera
stessa al Maestro. In quella occasione Atisha gli conferì l’iniziazione ed insieme
passarono la notte discutendo come si fa tra discepolo e maestro.
Tre
giorni dopo il Maestro e il suo seguito si spostarono verso il villaggio di
Kyi rong, un luogo molto ameno al confine col Nepal. Qui Atisha, con Dromton
e altri monaci, trascorrerà l’anno 1045, cercando senza successo di procedere
verso il Nepal. A questo punto Dromton trova l’ardire di
La
società tibetana, sotto l’influenza del Maestro, modificò costumi e credenze;
le trasgressioni come il delitto, l’adulterio, la propensione agli esorcismi
e alla magia nera, vennero da allora viste non solo come crimini contro le persone,
ma anche come reati contro la società stessa.
Le
capacità di Atisha comprendevano anche competenze nelle costruzioni ingenieristiche,
perché come si è detto in precedenza Atisha aveva indagato in ogni settore del
sapere. Ad un suo progetto viene fatta risalire la costruzione della diga di
contenimento per prevenire le alluvioni, in un luogo chiamato Thol. Si prodigò
anche nella disposizione di un sistema di irrigazione, facendo scavare canali
che permettessero una maggiore produzione agricola, compilò vari trattati di
medicina per il benessere fisico della gente, segnando l’inizio di una fase
nuova e prodiga per l’intero Paese delle Nevi.
Atisha
conquistò il cuore del popolo predicando mediante canti e liriche, un mezzo
espressivo molto usato dagli Acarya nella sua terra di origine, il Bengala.
Si conoscono, grazie ad un minuzioso lavoro di traduzione alcune antiche poesie
mistiche bengalesi, le Caryagiti,
di soggetto religioso, che risalgono a più di mille anni fa. Similmente nel
Tanjur tibetano si sono trovate alcune di queste composizioni per mano di Atisha,
intitolate “Vajrasana Vajragiti, Caryagiti, Vajrayogini Strota”, che venivano
recitate o cantate durante i sermoni sulla Dottrina, catturando l’attenzione
del popolo.
Si
può quindi affermare che Atisha seppe conquistarsi la devozione sia dei monaci
che della nobiltà, dei pastori e della gente comune e analfabeta, permeando
tutti gli strati della società, col messaggio della purezza morale e della vita
virtuosa, secondo i più alti scopi della filosofia Mahayana.
Dipankara
Srijnana da allora è conosciuto e venerato in Tibet col nome di Atisha che significa
“Il preminente, il superiore”. Un’altro suo nome tibetano è Jo bo rje, mentre
la traduzione in quella lingua del suo nome di iniziazione indiano, Sri Dipankarajnana,
è dPal mar me mdzad ye shes.
Tutti
gli storici di ogni tempo hanno sottolineato le virtù del suo carattere, la
sua erudizione, la sua statura spirituale, descrivendolo come il primo e il
maggiore responsabile della connessione fraterna tra l’India e il Tibet, colui
che fu un raggio di luce insostituibile in questi due paesi.
Il
successo della missione di Atisha in Tibet è altresì confermato dal fatto che
le radici da lui poste permetteranno lo sviluppo di un sistema autoctono di
pensiero buddista, foriero di fecondi sviluppi.
L’innata
creatività del popolo tibetano ricevette uno stimolo così vigoroso, che i risultati
di questo si possono rintracciare in tutto il corso successivo degli eventi.
Una
delle persone direttamente influenzate dal Maestro fu senza dubbio il suo principale
discepolo, Dromton, che diede prova anche di ottime qualità organizzative con
la costruzione del monastero di Reting e con la successiva fondazione della
scuola Kadampa, il cui nome significa “ Seguaci del diretto insegnamento [di
Buddha]”. Seguendo le direttive di Atisha, gli aderenti a questa scuola abbracciano
contemporaneamente i tre voti: i voti di liberazione individuale, i voti del
Bodhisattva e i voti Tantrici, tutti armonizzati in un completo sentiero verso
la liberazione.
La
collaborazione con i suoi discepoli Dromton e Ngokton continuò prolifica, permettendo
le traduzioni in tibetano dei lavori di Atisha e sotto la sua direzione, i due
lotsava compirono un eccellente lavoro di correzione e sistemazione di testi
già esistenti.
Complessivamente
l’ideale di Atisha è quello dell’illuminazione spirituale per il benessere dell’umanità
tutta. Egli affermò che l’amore per sé stessi deve essere sostituito dalla mente
che sviluppa l’amore universale -maitricitta- . Le parole di Shantideva, santo
e studioso indiano del 7° secolo, nel trattato “Bodhicaryavatara”, (vedi
anche Siksha_Samuccaya.pdf)
costituiranno il modello sul quale Atisha plasmerà il suo “Bodhipathapradipam”:
“Tutta la felicità che esiste, nasce dal desiderio di gioia per gli altri.
Tutte le miserie nascono dal ricercare la propria egoistica gioia. Cos’altro
c’è da dire? La persona spiritualmente immatura penserà solo al proprio benessere,
il Buddha pensava solo al benessere degli altri. Osservate le differenze tra
i due.”
Dopo
tredici anni di continua predicazione, dal 1042 al 1054, all’età di 73 anni
Atisha si spense nel monastero di Nethang, non lontano da Lhasa. Nello strota
- inno- a lui dedicato, Dromton esprime al suo guru i suoi profondi sentimenti
di riconoscenza e di affetto : “Offro preghiere ai tuoi piedi, a te che sei
vita eterna e sei rinomato come un secondo Nagarjuna, il Dharma fu introdotto
per merito tuo e la gente fu da te guarita... Tu diedi loro il giusto insegnamento...”.
Nel
monastero di Nethang si conservano ancora alcuni dei suoi effetti personali;
in un reliquiario sono serbati con cura e venerazione la sua ciotola per le
elemosine -patra- e il suo bastone
di legno -dhammakarika- , in un contenitore col sigillo reale, per informare
il mondo dell’indomito coraggio e abilità
dimostrate dal venerabile Santo indiano.
Atisha è considerato un secondo Buddha e la sua immagine venerata sugli altari dei monasteri. Esiste ancora un suo presunto autoritratto, dipinto si dice col sangue uscito dalle sue narici e preservato nel monastero di Rs sgreb o Rwa sgreng, che lo raffigura seduto con un libro nella mano sinistra, mentre con la destra compie il gesto di protezione.
G. Piana e Max Di Palma