DHARMAKIRTI

Dharmakirti

“Dharmakirti. Dal testo: Pramanavartika”:

La maggior parte del genere umano è incline alla banalità e non ha interesse per le sottigliezze.
Senza curarsi dei discorsi profondi l'uomo è intriso di odio e di invidia.
Così io non scrivo per loro, perché il mio cuore ha trovato soddisfazione in questo mio trattato
e attraverso di esso il mio amore per la continua profonda meditazione su ogni ben ponderata parola è stato esaudito.
Nessuno in questo mondo potrà facilmente afferrare i limiti estremi in questo lavoro.
Esso sarà completamente assorbito e consumato in me stesso come un fiume è assorbito e perso nell’oceano.
Anche coloro forniti da un grandissimo potere di ragionamento non sono in grado di scandagliare il profondo.
Anche coloro dotati di una eccezionale coraggio di pensiero non possono percepire la sua più elevata verità.

Nell’India del settimo e ottavo secolo DC si assiste alla fase finale della ricerca dei significati profondi e non facilmente comunicabili della Dottrina buddista.

Sebbene l’università monastica di Nalanda continuasse ad essere il centro di studi più famoso per almeno altri quattro secoli a venire, prima dell’invasione musulmana, essa divenne sempre più isolata culturalmente, in una crescente marea di rinnovata fede nella religione induista. Il popolo fu nuovamente attratto dai rituali devozionali e teisti e i nuovi testi dei Vedanta attrassero pensatori e filosofi.

A Nalanda e nelle altre università minori buddiste, probabilmente queste tendenze erano avvertite, col risultato che i maestri diventarono più dogmatici e, al tempo di Dharmakirti, un pervasivo pessimismo comincia a pervadere il buddismo indiano.

Negli stessi anni il messaggio di Buddha penetra in Tibet e, attraverso le rotte mercantili, raggiunge il Sud-est asiatico. Era già giunto in Cina da almeno sei o sette secoli e un gran numero di traduttori aveva intensamente lavorato per rendere i Sutra Mahayana in lingua cinese.

Quando il buddhismo in India si perse quasi definitivamente, i lavori di Nagarjuna, Asanga, Vasubandhu, Dignaga, Chandrakirti, Shantideva e Dharmakirti divennero le pietre di fondazione della rinascita buddhista nelle altre terre, dove rimasero vitali sino al presente.

Dharmakirti nacque in una famiglia Brahmina a Trimalaya nell’odierno stato del Madhya Pradesh, in una data imprecisata nel settimo secolo.

Sin dalla giovinezza mostrò un intelletto eccezionale, studiando le arti e le scienze e naturalmente i Veda e all’età di sedici anni fu accettato come discepolo da un anziano maestro Indù. Fu allora che trovati alcuni testi Buddhisti li studiò con passione, causando uno scandalo nella sua comunità induista. Un anziano bramino cercò di convincerlo a rientrare nella fede dei padri, ma Dharmakirti non accondiscese, e costretto a lasciare la casa, decise di vestire la veste gialla del monaco mendicante.

Durante il suo cammino verso Nalanda fu accettato ufficialmente nel Sangha dal famoso maestro
Dharmapala e almeno formalmente divenne un discepolo dell’ancora più famoso Vasubandhu, il quale comunque era già troppo anziano per intraprendere l’educazione di Dharmakirti.

La sua prima guida fu Ishvarasena, che lo introdusse al famoso trattato del suo maestro Dignaga: il Pramanasamuccaya. Alla prima lettura Dharmakirti lo comprese perfettamente, dopo la seconda valutò la sua inadeguatezza e alla terza, un po’arditamente, proclamò le sue critiche.
Altri avrebbero potuto trovare tutto questo perlomeno irriverente, ma Ishvarasena ne fu deliziato e invitò Dharmakirti a comporre un commentario sul Pramanasamuccaya. Il risultato fu uno dei più penetranti trattati di logica dell’Abhidharma Mahayana: il Pramanavartika.

Il Pramanasamuccaya di Dignaga, cioè il ”Compendio sui mezzi di conoscenza” è un’opera rigorosa e sottile dove il maestro denuncia l’impossibilità della conoscenza discorsiva e quindi del linguaggio di cogliere la realtà così come essa è, percependo solo un immagine deformata di essa.

Il commento di Dharmakirti evidenzia che l’unico momento in cui la realtà è così come viene percepita, è il brevissimo attimo iniziale, prima che la nostra consueta elaborazione mentale ci devii dalla realtà stessa.

Il PRAMANAVARTTIKA cioè il Commento al Pramana [samuccaya] di Dharmakirti, è composto di 4 capitoli:

Capitolo 1 - Logica, come la logica trasforma la mente concettuale in mente percettiva (libera da illusioni); mostra logicamente la validità e la realtà della mente e degli insegnamenti del Buddha (basati sulla realizzazione del Maestro Buddha delle Quattro Nobili Verità).

Capitolo 2 - Come sviluppare razionalmente la Compassione: giacché questo processo può implicare molte vite, viene descritta la “continuità” della mente. Effettua inoltre un esame logico delle 4 nobili verità con enfasi sulla Quarta Nobile Verità del Sentiero, mostrando i possibili miglioramenti della nostra mente.

Capitoli 3&4 - Come possiamo spiegare logicamente le quattro nobili verità per il bene altrui e per dissipare l'ignoranza ed i fraintendimenti della realtà.

Il testo fu accolto con indifferenza a Nalanda, complice il fatto della sua non facile comprensione, benché negli ambienti della stessa università fosse riconosciuta a Dharmakirti la sua abilità dialettica e la sua impeccabile imparzialità. Tuttavia la diffusione dell’opera fu comunque vastissima e anche filosofi e critici induisti come Kumarila, Uddyotakara e Jayanta, anche dove non accettano le posizioni buddhiste, sono ugualmente influenzati e penetrati dalla sua logica stringente.

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Dharmakirti compose sette opere che divennero conosciute come i “Sette Trattati” e che sono la quintessenza dell’indagine sulla logica per tutti i Buddhisti Tibetani. La sua neutralità filosofica rese il suo punto di vista compatibile con molte scuole di pensiero e i suoi lavori furono presto inseriti tra quelli di Chandrakirti e Shantideva.

La conversione alla Dottrina Buddista di Dharmakirti era stata generata dalla sua netta convinzione che Buddha era la definitiva fonte della Conoscenza e i suoi lavori furono il tentativo di rivelare il profondo senso logico dei Suoi Insegnamenti. Il suo scetticismo metodologico lo costrinse a rigettare l’autorità delle Scritture Buddhiste ogniqualvolta esse non reggevano ad una rigorosa verifica dialettica, la stessa che applicava ai testi non-buddhisti. Sebbene accettasse il punto di vista di Dignaga che la percezione è una forma di conoscenza aggiunse che essa doveva essere infallibile.

Per Dharmakirti la transitorietà del mondo non significa che sia irreale, ma piuttosto che bisogna comprendere la natura della sua realtà. La percezione è composta da fugaci momenti, istanti nel tempo e nello spazio e sembra dare continuità agli oggetti di percezione, mentre in effetti questa continuità è prodotta dalle nostra mente.

La pura percezione è istantanea, ma siccome essa si trasforma altrettanto istantaneamente in pensiero ed è espressa in termini di relazione cognitiva, essa si trasforma in qualcosa che non esiste. Solo con la deduzione si può trattare con l’universo e le sue forme, ma gli oggetti di percezione e le relative deduzioni sono alquanto diverse una dall’altra.

La logica non può essere completamente separata dall’epistemologia altrimenti la logica conduce inevitabilmente alla dialettica. Come Nagarjuna prima di lui, affermò che tutto questo mina la fede costruttiva e positiva, conducendo ad un pessimismo scettico. L’unico antidoto a tutto questo sono la meditazione e la disciplina. Questi sono gli unici mezzi per purificare la via che conduce ad una esistenza indipendente da false pretese di conoscenza.

Il Pramanavartikakarika è un vasto e profondo commentario al lavoro di Dignaga ed è condensato nel Nyayabindu, “Goccia di Logica”, a lungo preservato in lingua tibetana, ma recentemente scoperto anche in lingua sanscrita in un manoscritto trovato in un tempio Jainista.
Nel primo capitolo Dharmakirti dice che tutti gli scopi perseguiti dagli esseri umani sono ottenuti attraverso la conoscenza, che non deve essere solo valida, ma anche perfetta. Questo tipo di conoscenza può essere ottenuta solo attraverso la percezione diretta “pratyaksha” e l’inferenza “anumana”.

La percezione deve comunque essere priva di preconcetti ed errori, che non sono causati semplicemente da un sommario sovraccarico di conclusioni affrettate, ribadendo che la percezione attraverso i nostri cinque sensi non è l’unica disponibile e neanche la più accurata.

Bisogna sviluppare allora la percezione della consapevolezza, che porta alla comprensione intuitiva e per questo difficilmente comunicabile a coloro che non sono meditatori esperti.


Da queste basi Dharmakirti conclude che l’illuminazione è pura percezione che coinvolge il concetto di Vacuità, che non deve assolutamente essere intesa come percezione negativa, o percezione di qualcosa che non è, ma come completa affermazione dell’introspezione intuitiva.

Nei suoi successivi viaggi giunse a Kalinga, nell'odierno stato indiano dell'Orissa, dove fondò un monastero e lì rimase ad insegnare ad un gran numero di discepoli sino alla sua morte.