BUDDHISMO CINESE - CH'AN

 

 

Ingresso del buddhismo in Cina

La cultura cinese a contatto con quella buddhista iniziò un’opera di comprensione e assimilazione, conclusasi con la modificazione dello spirito cinese antico con elementi buddhisti.

 

Primo ingresso

Epoca Han (206 a.C. - 221 d.C.): con le guerre che fin dall’inizio gli Han dovettero sostenere in zone yuezhi e xiongnu, i cinesi si misero in contatto di zone e popoli buddhizzati; inoltre i prigionieri buddhisti iniziarono la penetrazione buddhista nell’Impero di Mezzo.

 

Mingdi: l’imperatore Mingdi viene ricordato per aver voluto, nel 65 d.C., una spedizione col fine di portare in Cina testi buddhisti (tuttavia, già all’epoca c’era una fiorente colonia buddhista sullo Yangzi). Con il primo ingresso voluto da Mingdi ci fu una lenta penetrazione di missionari e monaci.

 

Prima attività: i primi missionari buddhisti in Cina erano indiani e sciiti che portavano sutra e li traducevano. An Shigao, Zhu Shuofo e Jichan (venuti nel II sec. d.C.), per esempio, oltre a fondare il Monastero del Cavallo Bianco, tradussero parecchi sutra.

 

Iniziale confronto buddhismo/Cina: i traduttori che operavano in questo primo periodo erano dotati di profonda cultura e di spirito necessario per affrontare il difficile compito di spiegare una dottrina così ostica per i cinesi. Infatti, erano lontani dalla mentalità cinese la disciplina monastica e il distacco dalla famiglia e dalla società; l’esigenza soteriologia1; la disciplina morale come mezzo propedeutico alla salvezza, non come valore in sé. Il buddhismo però alla fine riuscì a reinterpretare la concezione dello Spirito Universale, e inoltre diede alla filosofia cinese, soprattutto daoista, la sua metafisica negativa: su queste basi avvenne l’incontro. I buddhisti per venire accettati insegnarono la loro struttura logico-dialettica, mitigarono dei concetti troppo inaccettabili, usarono citazioni di Laozi (che i daoisti credettero a lungo Maestro del giovane Buddha), e tradussero usando la terminologia daoista (la traduzione per analogia è detta geyi). D’altra parte i cinesi accettarono bene le opere metafisiche buddhiste, nonostante il loro essere pratici: appassionò molto lo studio dei rapporti fra essere e non-essere.

 

Epoca medievale

Periodo iniziale: dopo l’epoca Han, all’inizio del periodo medievale, il buddhismo continuò a penetrare con anzi maggior vigore, ma ancora non c’erano rielaborazioni cinesi, forse per via del divieto ai cinesi di farsi monaci, e quindi di studiare il pensiero buddhista con più profondità. Pertanto fu un periodo ricettivo.

 

Kumarajiva: la nuova epoca del buddhismo in Cina inizia nel 402 con l’arrivo a Chang’an di Kumarajiva (344-413), che venne nominato guoshi, direttore dell’insegnamento, influendo così molto sulla cultura cinese. Kumarajiva, dotato di un’ampia e completa cultura e del possesso della lingua, smise le traduzioni secondo le categorie del pensiero cinese e iniziò le traduzioni che puntavano a far passare il senso originario dell’opera. Con Kumarajiva e i suoi discepoli il buddhismo divenne un fenomeno cinese.

 

Seng Jiao: il discepolo di Kumarajiva Seng Jiao (384-414) iniziò la sintesi di buddhismo e daoismo. Per esempio unì you e wu con la teoria della doppia verità del Madhyamaka: considerato che, in base a quest’ultima, la più alta verità ad un livello comune è la più bassa ad un livello superiore, possiamo dire che a un livello basso comprendiamo che esistono sia you che wu, mentre ad un livello alto, comprendiamo che non c’è nessuno dei due2. Seng Jiao disse anche che la prajña non è conoscenza di oggetti positivi, ma del wu, ma ad un livello ancor più alto si comprende che nirvana e prajña sono lo stesso, e quindi null’altro va detto. Infine Seng Jiao affermò la totale inesistenza del movimento. Le cose sono irreali perché in movimento; ma quando una cosa è passata è in stato di quiete. In realtà, il movimento non esiste, e nemmeno esiste il tempo: le cose, i dharma, esistono solo come fissati nel loro istante, e il tempo è irreale. Quello che esiste è solo l’immutabilità atemporale del nirvana.

 

Zhu Daosheng: altro discepolo di Kumarajiva, Zhu Daosheng (360-434) si occupò di tre problematiche fondamentali. Innanzitutto, riguardo agli icchantika, coloro che per destino non hanno l’accesso alla buona dottrina, affermò che anch’essi hanno la buddhità da realizzare. Ogni essere cosciente ha la buddhità, ma non se ne accorge; la consapevolezza è il nirvana; il nirvana però non vuole necessariamente l’abbandono della vita comune, poiché con la bodhi si capisce che la vita comune e il nirvana sono lo stesso. In secondo luogo, Zhu Daosheng disse che una buona azione non comporta ricompensa, poiché se fatta secondo wu wei e wu xin, non è contaminata dalla brama, è fatta liberamente. Infine Zhu Daosheng definì la bodhi un atto istantaneo con una soluzione di continuità con la disciplina preparatoria, in quanto è wu, è divenire wu.

 

Diffusione del buddhismo: nel Medioevo la diffusione del buddhismo fu molto ampia. Senza Impero unificato, c’era il libero ingresso di uomini e idee dall’India e dall’Asia, mentre le dinastie straniere non difendevano in nessun modo la tradizione cinese dalla penetrazione straniera. Così il pensiero cinese assimilò quello buddhista.

 

Buddhismo Chan

Il buddhismo in Cina aveva sviluppato così tanti indirizzi, così tanti mezzi soterici e una così vasta metafisica, che il fine del Buddha era andato perso di vista. Contro questo stato di cose nacque il Chan (Channa, dal sanscrito dhyana, meditazione), che reagì con la sobrietà dei mezzi soterici, la scarsezza delle formulazioni filosofiche e l’assenza di rituali.

 

Caratteri generali

L’unico mezzo soterico per il Chan è la meditazione. Partendo da un vuoto mentale, il monaco medita sul principio illuminativo, fino a giungere ad una folgorazione, wu (bodhi), istantanea improvvisa e immediata, radicalmente diversa dal momento precedente. La meditazione del monaco Chan dev’essere senza oggetto, senza scopo e senza intenzione (wu xin), affinché il pensiero, libero, possa realizzarsi giungendo alla bodhi. Il pensiero dev’essere un’attività distaccata dall’oggetto. Un’altra caratteristica del Chan è la sua naturalezza di vita, che contempla anche il lavoro: la bodhi infatti non contraddice il samsara, ma lo riduce ad una sfera di libertà. Il Chan a volte però si serve di paradossi e immagini razionalmente incomprensibili, detti gong’an; i discepoli, per capirli, devono avere un’intuizione arazionale. I gong’an servono per eliminare l’attaccamento a formulazioni dogmatiche, per scuotere il meditante e fargli raggiungere il wu, e per allontanarlo da compiacimenti che intorbidano la mente.

 

Nascita e sviluppo

Secondo la tradizione, l’insegnamento Chan sarebbe stato trasmesso segretamente dal Buddha a un discepolo, il primo patriarca indiano della scuola del dhyana; 28 furono i patriarchi indiani, finché Bodhidharma, il fondatore del Chan cinese, non venne in Cina nel VI sec.; poi ci furono Hui Ke, Seng Can, Daoxin e Hong Ren. Dopo Hong Ren, il Chan si divise nella Scuola dello Spirito Universale di Shen Xiu (600-706), che affermava la gradualità del wu, e in quella del Vuoto di Hui Neng (638-713), che affermava l’istantaneità del wu. Considerata ortodossa la Kong Zong, con Huai Rang, Mazi e Bai Zhang il Chan divenne una vera scuola con i suoi monasteri e la sua regola, e a livello filosofico iniziò una sintesi fra Chan e daoismo. Dopo il X sec., le varie scuole buddhiste iniziarono a decadere. Le uniche scuole che rimasero indipendenti furono la Qingdu e la Chan, che venne trasmessa secondo cinque linee di trasmissione. Le due più importanti furono:

 

·         Caodong Zong: fondata da Dongshan Liangjie (807-869), questa scuola detta anche Mozhao Chan, ha come elementi fondamentali il zuochan, la calma meditazione, e la dottrina delle Cinque Dignità, cioè cinque stati di purificazione prima del wu. Per essa sono importanti riti e morale.

 

·         Linji Zong: fondata da Linji Yixuan (IX sec.), essa utilizza molto il sistema dell’urlo e del bastone, i gong’an, per far avere al discepolo una scossa psichica e far erompere la bodhi.

 

Periodo assiale

La filosofia in Cina nacque in un momento di grave crisi politica e sociale, durante il periodo delle Primavere ed Autunni (722-481 a.C.) e il successivo, degli Stati Combattenti (403-221 a.C.). Proprio questa crisi determinò il mutamento della civiltà cinese da arcaica a classica. Verso la metà del Chunqiu, infatti, la decadenza della dinastia reale Zhou determinò la nascita di alcuni Stati feudali militari. La vecchia aristocrazia continuò a decadere, mentre la nuova e folta classe dei mercanti emergeva; nel 221 a.C., infine, la Cina venne conquistata dal più forte degli Stati feudali: Qin. Una vera rivoluzione che fece tramontare la cultura sapienziale e tradizionale vecchia di secoli e sviluppò una cultura dell’individualità umana che con il suo intelletto si ricrea le dimensioni della realtà ormai mutata: è la nascita della filosofia.

 

Dong Zhongshu

Dong Zhongshu (179-104) fu il più grande esponente della Scuola del Testo Nuovo, caratterizzato dall’usare testi confuciani riscritti o ricordati a memoria. Gli imperatori Han adottarono la filosofia della Scuola del Testo Nuovo come confucianesimo ortodosso, almeno fino agli Han Posteriori. Dong Zhongshu fu l’ideologo degli Han Anteriori, che suggerì all’imperatore Wudi l’elevamento del confucianesimo a dottrina di Stato e l’istituzione del sistema degli esami. Secondo la sua concezione l’uomo fa parte del Cielo e poiché il Cielo è il luogo di tutti gli archetipi, l’uomo diventa la sintesi dell’universo. Questo è costituito da dieci elementi: Yin e Yang (forme trascendentali del qi cosmico che dà vita all’uomo), i Cinque Elementi, (forme a priori della realtà sensibile), il Cielo, la Terra, l’Uomo. La dinamica di questi elementi vede il continuo crescere e diminuire di essi, a seconda del moto dello Yin e dello Yang. Quindi la Legge dell’universo è quella dell’Eterno Ritorno. L’azione dell’uomo è il riflesso e la continuazione sulla Terra dell’azione del Cielo, identificato con la Natura. Dong Zhongshu chiama Tian sia il Cielo che la Natura, come se concepisse un legame fra spirito e natura. Lo spirito dell’uomo è la continuazione della Natura, e anzi il suo sviluppo per l’ordine cosmico è necessario. La civiltà consta di riti (li) e musica (yue): i riti sono il modo di comportarsi dell’uomo, la musica è invece il sentimento. Riti e musica sono i riflessi delle due parti dello spirito umano, la forma (xing) e le emozioni (qing), corrispondenti allo yang e yin. L’uomo non è ancora buono, ma ha innati degli elementi di bontà che si possono sviluppare. I desideri e le passioni sono duri ostacoli che solo l’educazione può scavalcare. L’etica sociale è regolata nelle tre relazioni principali: re-suddito, padre-figlio, marito-moglie. Si devono sempre praticare le cinque virtù confuciane. L’armonia che regola la natura, le stagioni, il loro alternarsi, deve dominare nello Stato e nell’attività del regnante. Dong Zhongshu considerò che tutto è sottoposto alla Legge dell’Eterno Ritorno e quindi, trovate le forze agenti, si sarebbe potuto capire il presente e prevedere il futuro. Nel succedersi delle Tre Dinastie Dong Zhongshu ravvisò l’alternarsi di tre elementi fondamentali, simboleggiati da nero, bianco e rosso; ogni dinastia che si succederà riceverà un elemento, in base al quale la sua vicenda e il suo destino sarà simile a quelle con lo stesso elemento. Il fondatore di una nuova dinastia dovrà porsi subito in armonia con il suo proprio colore, per trarne pace e calma. Deve stabilire nuove istituzioni, nuovi riti, nuove leggi, per adeguarsi alla natura del suo colore, ma questo non è essere innovatori, bensì cambiare in base al cambiamento delle cose, è conoscere il Dao.

 

La filosofia di Dong Zhongshu cerca di spiegare l’andamento della storia e di ritrarre la situazione corrente; inoltre è forte il tono ottimista, dovuto agli albori felici della dinastia Han. Dong Zhongshu cercò pure di combinare una sintesi di tutte le ideologie note. Quello che si rimprovera a Dong Zhongshu è che ha usato lo strumento dello Yinyang, ossia la dialettica tra Yin e Yang, in modo troppo meccanico, togliendo un elemento proprio del primo confucianesimo: la libera scelta umana.

 

Fa Jia

La scuola legalista ha origine nel periodo di Mencio, Xunzi e Zhuangzi, quando in alcuni Stati del Nord nacquero delle scuole filosofiche a partire da alcuni legislatori ed amministratori. L’obbiettivo di questi amministratori era di sconfiggere l’anarchia imperante nei regni cinesi con una rigida organizzazione statale centralizzata; tale organizzazione si doveva fondare sull’obbedienza generale di tutta la società al fa, alle Leggi, cioè ad un unico codice uniforme ed uguale per tutti. Fu negli Stati del Nord-Ovest che i principi legalisti attecchirono: laggiù i sovrani erano sempre impegnati nella lotta coi barbari, e la disciplina che il Fa Jia teorizzava era indispensabile; inoltre i popoli del Nord-Ovest, misti a barbari guerrieri, erano abituati ad una dura disciplina. I primi pensatori furono:

 

·         Guan Zhong: Primo Ministro di Qi impose il monopolio del sale e del ferro a Qi.

 

·         Zichan: Primo Ministro di Zheng promulgò per primo un codice di leggi nel VI sec.

 

·         Shen Dao: Per il ministro di Han, il sovrano deve accrescere l’autorità sui sudditi. L’autorità, shi, è capacità di comandare.n Dao

 

·         Shen Buhai: questo Ministro di Han pensava invece che la cosa più importante nel governo è la shu, l’arte di governare con ogni mezzo, spesso calpestando la morale, per ridurre i sudditi all’impotenza.

 

·         Shang Yang: il legislatore di Qin fu colui che veramente adottò il sistema di governo tramite legge. Fa, la Legge è solo un codice repressivo molto severo. Shang Yang affermò la Legge di Qin distruggendo fino al livello delle famiglie l’organizzazione sociale, abolendo l’organizzazione fondiaria del jingtian e rendendo più efficace l’esercito.

 

Han Fei

Han Fei (m. 233 a.C.) fu, con Li Si, il sintetizzatore delle dottrine del Fa Jia  e l’ideologo dell’imperatore Qin Shi Huangdi e del suo dispotico impero. Han Fei e Li Si hanno come origini l’insegnamento di Xunzi. I concetti di Xunzi che ritroviamo in Han Fei sono la fondamentale cattiveria dell’uomo e il bisogno di un’autorità superiore, lo Stato, a garantire la civile convivenza fra gli uomini. Han Fei nega l’autorità del passato e la sua funzione di modello. Col passare del tempo le condizioni mutano e istituzioni del passato ora non possono più essere valide. Così, se nel passato non c’era bisogno di uno Stato forte poiché c’era terra per tutti e quindi mancavano i motivi di conflitto, ora non è più così, e il sovrano deve fermare la malvagità umana con le leggi. Il sovrano deve possedere shi e shu, autorità e capacità e arte di governo. Solo così può promulgare leggi e attorniarsi dei giusti collaboratori. Con i sottoposti, userà il sistema dei premi e delle punizioni per assicurare l’efficienza e il buon comportamento. Il sovrano non deve lavorare (principio daoista del wu wei). L’unica virtù che il sovrano deve avere è l’imparzialità. La posizione di Han Fei e del confucianesimo sono diametralmente opposto riguardo riti e legge. Per Confucio, i riti non sono per il popolo, mentre la legge non per la nobiltà; Han Fei al contrario propone di eliminare i riti ma di estendere la legge anche alla nobiltà. La logica e la dialettica sono pure studiate dai legisti, poiché è un metodo per conoscere la verità, necessaria a chi governa. La dialettica legista si rifà a quella del Mo Jia: è una dialettica materialista e fattualistica.

 

Qin Shi Huangdi

Han Fei fornì al re di Qin la giustificazione filosofica e la metodologia per l’unificazione della Cina. Fu seguendo Han Fei che il re di Qin e Li Si frantumarono le tradizioni locali, disarmò popoli, li deportò, ripartì i campi, fondò un’amministrazione centrale, l’esercito di leva, unificò pesi e misure e il codice, ecc. Un’altra unificazione che Qin Shi Huangdi volle fu quella del pensiero. Tutto il pensiero contrario al legalismo venne considerato destabilizzante per l’Impero; soprattutto il confucianesimo fu osteggiato dal Fa Jia, che vedeva i valori del confucianesimo come mali da sradicare. Anche la tradizione, contro cui il Fa Jia era apertamente andata, poteva costituire fonte di critica e venne considerata pericolosa. Nel 221, Qin Shi Huangdi volle controllare la cultura, facendo vivere a corte 70 boshi, eruditi, affinché formulassero la cultura unificata e ortodossa. Ma questo non bastò: nel 213 Li Si propose il rogo di tutta la cultura del passato, storica filosofica e letteraria, salvando solo la memoria Qin, e le opere tecniche; insieme anche centinaia di allievi del Ru Jia sarebbero periti. Così nel 213 andò perduta gran parte dei documenti della cultura cinese arcaica e classica. Nel 206 poi, al crollo della dinastia, vennero incendiati i palazzi reali Qin, che contenevano le uniche copie della cultura scomparsa al rogo di Shi Huangdi.

 

 

Scuola di Guwen Jia

Mentre nell’epoca degli Han Anteriori la Scuola del Testo Nuovo godeva il massimo favore imperiale, alcuni pensatori si misero a criticare tale scuola: era quella del Testo Antico. L’obbiettivo della Scuola del Testo Antico era di spogliare Confucio di tutti gli elementi daoisti e yinyang per rendere la sua dottrina da cosmologica a puramente e nettamente etica-sociale. La Guwen Jia voleva poi ridimensionare la figura di Confucio da quella di Superuomo divino della Jinwen Jia a quella di Saggio trasmettitore della cultura antica.

 

Liu Xiang e Liu Xin

Padre e figlio, essi furono gli iniziatori, nel I sec. a.C., della critica della Scuola del Testo Antico. Liu Xiang scoperse negli archivi imperiali il Zhouli: gli eruditi del Testo Nuovo, temendo per le loro teorie, lo accusarono di falso e lo mandarono via da corte. Liu Xin, invece fu l’ideologo di Wang Mang, usurpatore del trono Han che tentò un reale ritorno alla situazione Zhou, restaurando il jingtian e altre istituzioni Zhou.

 

Wang Chong

Il razionalista Wang Chong (27-100 d.C.) fu uno dei più grandi pensatori dei Han. La sua filosofia è prevalentemente critica: Wang Chong criticò le credenze degli eruditi, poiché ogni tesi per lui andava fondata su fatti dimostrati; criticò la relazione Uomo-Cielo di Dong Zhongshu; criticò l’opinione della bontà umana, dicendo che la maggior parte delle persone sono un po’ buone e un po’ cattive, e l’educazione serve ad aiutarle; criticò l’opinione della centralità dell’uomo nell’universo; criticò l’opinione della capacità dell’uomo di agire sui fenomeni naturali. I fenomeni naturali per Wang Chong sono fatti positivi indipendenti dall’uomo, e la natura è totalmente indifferente alla vita e alla sorte dell’uomo. Wang Chong criticò pure Confucio, le sue incongruenze, e ne ridimensionò la figura nel momento della sua divinizzazione.

 

Piero, Venezia

 

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