RIME'
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Tre Thangka della Tradizione RIME’
RIME’ - Jamgön Kontrül Lodrö Thaye
La parola tibetana rimé significa non fazioso, senza barriere, confini,
limiti, ed è stata adottata da alcuni maestri tibetani per designare
una corrente di spiritualità sorta nella regione Kham del Tibet orientale
nel secolo XIX.
Gene Smith — nella sua introduzione al Sheja Kunkhyab di Jamgön Kontrül
Lodrö Thaye (1813-1899), una delle figure più rappresentative del
Rimé — scrive che questo movimento non settario «ha rappresentato
una reazione contro la rivalità religiosa e le persecuzioni che hanno
tanto turbato la storia tibetana; esso ha cercato di orientare di nuovo la vita
religiosa tibetana verso gli alti ideali e la mutua comprensione che furono
la regola per i grandi maestri del passato».
Purtroppo anche nel buddhismo non sono mancate le persone settarie e interessate
al potere, tuttavia la tendenza generale impressa dal Buddha è indubbiamente
non settaria. Infatti, in ogni epoca e paese in cui si è diffusa, la
spiritualità buddhista si è sempre contraddistinta per gli alti
ideali di pace e tolleranza, proprio perché non è nata come una
setta, chiusa in se stessa, dogmatica, totalitaria, arrogante e violenta, ma
come la riscoperta di una sapienza eterna e universale.
Si noti che per i buddhisti Shâkyamuni non è l’unico Buddha,
giacché tutti gli umani possono diventare Buddha; inoltre il suo insegnamento
è pragmatico e diversificato per andare incontro alle esigenze di persone
con capacità e attitudini differenti. Di conseguenza la spiritualità
buddhista in Asia si è diffusa in modo naturale e pacifico, perché
i suoi maestri hanno saputo integrarla con le culture locali, adattandola con
saggezza alle differenti condizioni.
Siccome il movimento Rimé è sorto in Tibet, può essere
utile prendere lo spunto da un breve scritto di Jamyang Kyentse Chökyi
Lodrö (1898-1959), uno dei maestri Rimé del mio maestro Namkhai
Norbu Rinpoce. Il testo si intitola L’apertura della porta del Dharma
- Un’esposizione essenziale del cuore dei diversi veicoli. Di esso tradurrò
e commenterò alcuni brani che riguardano il nostro tema.
Il buddhismo fu introdotto ufficialmente in Tibet nel sec. VII. Nel secolo successivo
venne fondato il primo monastero e si iniziò la traduzione sistematica
delle scritture buddhiste. Attualmente il canone buddhista tibetano comprende
più di trecento volumi raggruppabili in due sezioni principali: il Kangyur
e il Tengyur. La prima raccoglie gli insegnamenti tramandati come “Parola”
del Buddha Shâkyamuni o anche di qualche altro buddha e bodhisattva; la
seconda comprende i trattati, commentari, testi ritualistici e istruzioni meditative,
composti da vari studiosi e mistici. Oltre a questa collezione esistono altre
raccolte di testi tantrici esclusi dal canone per ragioni settarie, ad esempio
il Nyingma Gyübum della tradizione più antica. In queste opere si
conservano le fonti dei principali insegnamenti buddhisti che attualmente vengono
suddivisi in tre categorie fondamentali: Hînayâna, Mahâyâna
e Vajrayâna.
Il primo veicolo o metodo è detto “piccolo”, perché
il suo ideale principale è la via monastica a cui pochi possono accedere;
il secondo è definito “grande”, in quanto si rivolge a chiunque,
essendo soprattutto laico; il terzo è il veicolo adamantino o dei Tantra,
in cui sono trasmesse le dottrine esoteriche, principalmente magiche e alchemiche.
In Tibet il buddhismo è sempre stato studiato e vissuto secondo i principi
dei tre veicoli e molti Lama ancora oggi sono monaci ma, nel contempo, praticano
e insegnano secondo il Mahâyâna e i vari Tantra. Tuttavia, per diventare
Lama, ossia maestro spirituale, non è necessario essere monaco né
praticare tutti i Tantra. Questa caratteristica eclettica e versatile contraddistingue
il buddhismo tibetano rispetto a quello di altri paesi asiatici dove, invece,
spesso un maestro conosce soltanto un metodo spirituale di una particolare tradizione.
Il buddhismo in Tibet non ha conosciuto tale forma di divisione tra singoli
metodi, ma un’altra divisione che in determinati periodi ha prodotto degli
effetti tipicamente settari.
Le scuole buddhiste del Tibet non sono mai esistite come tali in India. La tradizione
della scuola più antica risale al sec. VIII. Essa generalmente si articola
in nove mezzi: i veicoli degli uditori (shrâvaka) e degli autorealizzati
(pratyeka-buddha) fanno parte dello Hînayâna; il veicolo dei saggi
(bodhisattva) costituisce il Mahâyâna, mentre i sei veicoli tantrici
caratterizzano il Vajrayâna; questi ultimi sono suddivisi in tre esteriori
(kriyâ, ubhaya/caryâ, yoga) e tre interiori (mahâyoga, anuyoga,
atiyoga). Questa tradizione fu riconosciuta come una scuola a sé, e quindi
etichettata come “Antica” (Nyingma), soltanto quando, a partire
dalla fine del secolo X e soprattutto dal secolo successivo, vennero introdotte
in Tibet nuove scritture buddhiste, principalmente Tantra quali Cakrasamvara,
Hevajra, Kâlacakra e Yamântaka.
«A questo riguardo», scrive Kyentse Chökyi Lodrö riferendosi
alla distinzione fra scuole antiche e nuove traduzioni di Tantra, «alcuni
dei maggiori studiosi delle nuove traduzioni sostengono che i Tantra antichi
non sono autentici, invece gli imparziali affermano che sono proprio autentici
e, in verità, penso che questi ultimi siano nel giusto. Il motivo è
che [i Tantra antichi] insegnano correttamente il significato profondo e vasto
della “Parola” e dei trattati, perciò [questi Tantra] sono
da accettare pienamente».
Secondo i maestri “imparziali” tutte le tradizioni buddhiste sono
ugualmente valide, anche se differiscono quanto alle linee di trasmissione,
ai termini, alle definizioni e alle enfasi peculiari. Kyentse Chökyi Lodrö,
dopo aver presentato le scuole tibetane nelle loro caratteristiche essenziali,
conclude così sintetizzando il pensiero Rimé:
«Eccetto i numerosi nomi, tutte queste tradizioni non presentano alcuna
differenza particolare riguardo al senso. Infatti, per quanto concerne la realizzazione
finale, il punto chiave è uno solo. Le scuole Sakya e Gheden [o Gheluk]
sono anche conosciute come le tradizioni della spiegazione, mentre le scuole
Kagyü e Nyingma sono note come le tradizioni della pratica. In verità,
gli studiosi del passato dicevano questo:
“I nyingmapa hanno dato origine alla tradizione buddhista nel Paese delle
Nevi. I kadampa sono stati la fonte di milioni di maestri.
I sakyapa hanno diffuso il buddhismo perfettamente.
I kagyüpa [insegnano] la via breve dell’incomparabile
realizzazione.
Tsongkhapa è il sole delle brillanti esposizioni. I jonangpa e i shalupa
sono i signori delle sistemazioni dei Tantra vasti e profondi”.
«Questa affermazione è davvero sensata».
Un’altra distinzione a cui si richiamano alcuni per motivare la separazione
tra le scuole tibetane riguarda la triplice suddivisione tipica dei nyingmapa:
a) insegnamenti trasmessi oralmente senza interruzione (kama); b) insegnamenti
riscoperti (terma); c) insegnamenti rivelati tramite pure visioni (taknang).
Il maestro Chökyi Lodrö affronta l’argomento con queste parole
decisamente imparziali:
«I “tesori” (terma) dei nyingmapa sono gli insegnamenti comuni
e straordinari che il grande maestro Padmasambhava, arrivato in Tibet, diede
al re a ai sudditi in quanto risorsa nei tempi degenerati. Questi insegnamenti
furono nascosti come “tesori della terra” (sater) e “tesori
spirituali” (gongter) affinché, al momento propizio, venissero
riscoperti dalle sante reincarnazioni [dei suoi discepoli], arrecando beneficio
al Dharma e agli esseri. Le “pure visioni” (taknang) e la “trasmissione
orale” [o ininterrotta] (kama) sono presenti ampiamente, oltre che nell’antica
tradizione tantrica, anche nelle scuole nuove. Alcuni studiosi contestano i
“tesori” (terma), tuttavia, se si esamina da ogni punto di vista
l’intento di questi insegnamenti, risulta che sono validi secondo le tre
logiche (percezione diretta, deduzione e tradizione). Perciò si faccia
attenzione, giacché denigrando i “tesori” (terma) si colpisce
il Dharma. In verità, anche in India ci furono dei “tesori”,
come i centomila [versi della Prajñâ-pâramitâ scoperti
da] Nâgârjuna e i Tantra che i maestri realizzati estrassero dallo
Stûpa di Dhumatala in Uddiyâna. Ci sono molte prove come queste,
ma mi limito ad esse».
Si è già detto che il movimento Rimé è sorto come
reazione alla rivalità tra le scuole, alimentata per secoli dall’atteggiamento
fazioso di alcuni Lama e dei loro seguaci. Non considereremo il lungo elenco
dei tristi antecedenti, ma soltanto due circostanze particolarmente significative,
riferite da Gene Smith. La prima riguarda una tragedia che investì la
famiglia reale di Derghe nel Kham. I regnanti e una gran parte dell’aristocrazia
appoggiavano da varie generazioni la sottoscuola Ngorpa dei sakyapa. Tuttavia
questa alleanza entrò in crisi quando la giovane principessa, avendo
conosciuto il grande mistico nyingmapa Jigme Lingpa (1730-1798), decise di accordare
il proprio favore a lui e alla sua scuola, suscitando così la gelosia
e l’invidia dei Lama ngorpa e dei loro patroni aristocratici.
Nel 1790 il re di Derghe morì improvvisamente a soli 22 anni, lasciando
un figlio e una figlia ancora piccoli, perciò la principessa divenne
reggente in vece del figlio. Durante la breve reggenza ella aiutò con
fervore Jigme Lingpa e il suo discepolo Dowa Drubcen. Fu così che, grazie
al patrocinio reale, vennero incise le innumerevoli matrici per la stampa del
Nyingma Gyübum in 26 volumi e delle opere di Jigme Lingpa in 9 volumi.
Ma nel 1798, anno della morte di Jigme Lingpa, la tensione scoppiò in
una guerra civile che vide la sconfitta della fazione nyingmapa. La regina e
Dowa Drubcen, considerato suo amante, vennero imprigionati e poi esiliati; mentre
alcuni nyingmapa furono addirittura giustiziati o costretti a fuggire. Il giovane
principe fu posto sotto la tutela di insegnanti dichiaratamente contrari ai
nyingmapa, però questi tragici eventi maturarono in lui una profonda
coscienza religiosa, tant’è che più tardi rinunciò
al trono, divenne monaco e si ritirò a vita religiosa.
Probabilmente il primo documento Rimé è proprio un suo scritto
in cui, rievocando la storia della famiglia, egli non disdegna la relazione
speciale tra la casa regnante e i sakyapa, ma riafferma il principio che la
tolleranza e l’equo sostegno verso tutte le scuole dovrebbero costituire
la base della politica religiosa di Derghe e — come nota Gene Smith —
implicitamente di qualsiasi buon governo.
La seconda circostanza è costituita dall’espansione della scuola
Gheluk e, conseguentemente, del governo di Lhasa nella regione di Derghe. I
maestri ghelukpa, essendo molto esperti nel dibattito filosofico, fecero gran
uso della dialettica per diffondere la loro scuola, finendo spesso per provocare
aspri conflitti. Così i maestri delle altre tradizioni, che avevano accolto
l’ideale non settario, reagirono a tale proselitismo col sottolineare
l’importanza della semplificazione e della comprensione effettiva, evitando
il formalismo intellettuale, le controversie sulle interpretazioni e le contrapposizioni
faziose.
A questo proposito, Gene Smith cita un aneddoto riguardante l’incontro
tra Za Patrul (nato nel 1808), importante maestro del movimento Rimé,
e alcuni oppositori del suo eclettismo, monaci dialettici ghelukpa che volevano
incastrarlo con le loro argomentazioni di parte. Uno di essi chiese a Patrul
quale fosse la sua scuola, aspettandosi che nominasse quella Nyingma, ma Patrul
disse di essere soltanto un seguace del Signore Buddha. Allora il monaco gli
domandò il nome del suo maestro radice in cui prendeva rifugio, credendo
che in questo modo Patrul fosse indotto a dichiarare la propria identità
e, quindi, a scoprirsi dando inizio alla diatriba. Invece la risposta fu che
il maestro in cui Patrul prendeva rifugio erano i “tre gioielli”
(il Buddha, il suo insegnamento o Dharma e la comunità o Sangha). Frustrato,
il monaco ghelukpa volle che Patrul gli rivelasse il suo “nome segreto”,
quello che ricevette nell’occasione dell’iniziazione, perché
sicuramente lo avrebbe identificato come un nyingmapa. A questo punto, senza
la minima esitazione, Patrul gli mostrò il pene, indicandolo come il
suo nome segreto. Allora la folla, che era convenuta per assistere al dibattito,
scoppiò in fragorose risate e i dialettici se ne andarono totalmente
scoraggiati. Va notato che in tibetano si usa la medesima espressione per dire
nome segreto e pene nel linguaggio onorifico.
Patrul è considerato una delle successive reincarnazioni di Jigme Lingpa;
un’altra fu il maestro Jamyang Khyentse Wangpo (1820-1892), tra le cui
reincarnazioni successive troviamo il maestro Jamyang Khyentse Chökyi Lodrö,
già citato, e Jamyang Chökyi Wangchuk (1910-1973), zio materno e
maestro di Namkhai Norbu. I principali artefici del movimento Rimé furono
Jamyang Khyentse Wangpo, Jamgön Kontrül Lodrö Thaye, entrambi
già citati, Chokgyur Lingpa (1829-1870) e Jamgön Ju Mipham Gyatso
(1846-1912).
L’impulso al rinnovamento spirituale, artistico e intellettuale dato dai
maestri del movimento Rimé fu grande, tant’è che oggi lo
stesso Dalai Lama — volendo citare soltanto il personaggio più
significativo — è un maestro Rimé nella teoria e nella pratica.
Infatti, egli ha ricevuto insegnamenti da Lama di tutte le scuole tibetane,
senza alcuna preclusione, neppure verso la religione indigena bönpo.