BREVE BIOGRAFIA DEL VENERABILE ARHAT ANANDA

Il Paranirvana del Buddha & l'Arhat Ananda, suo attendente - Polannaruwa, Sri Lanka 

 

Ananda nasce nella stessa famiglia di Gotama, probabile figlio di Suklodana, fratello di Suddhodana, padre del Buddha. Poiché si diceva “è nato per portare felicità”, Ananda, così lo chiamarono. Molte sono le storie circa la sua decisione di seguire il Buddha. Una di queste vede protagonista Virudhaka, re dei Kosala, che per vendetta, stermina i Sakya di Kapilavastu, senza che il Beato cerchi di fermarlo, perché non si può impedire che il karma si compia. Pochi giorni dopo il massacro, Virudhaka e le sue truppe, accampate col bottino sulle rive del fiume Aciravati, sono sommersi e spazzati via da una piena del fiume. Pochi i Sakya che sfuggirono alla strage e fra questi il cugino del Buddha, Ananda, che lo raggiunse mentre il Maestro predicava nel nord-est dell’India.
Un’altra storia narra che Ananda si preparava alle nozze con Janapadakalyani, quando, insieme con altri sei giovani nobili di Kapilavastu e al barbiere di palazzo, Upali, fuggì per unirsi ai discepoli di Buddha. E in un altro racconto si legge che Upali rese possibile la fuga di Ananda e fu da questi poi congedato con molti doni, da lui rifiutati, decidendo per la vita di monaco mendicante. Upali rimase per tutta la vita vicino ad Ananda e al Buddha e fu colui che durante il primo concilio, tenuto poco dopo l’estinzione del Maestro, recitò a memoria tutto il Vinaya, cioè il complesso delle regole della Comunità.
Una versione, forse più realistica, narra della visita che l’Illuminato compie ai suoi famigliari a Kapilavastu; dopo il breve soggiorno nella Sua casa natale, il Buddha torna a Rajagrha, seguito da un gran numero di giovani Sakya convertiti alla Buona Legge. Tra di loro parecchi suoi cugini, Anirudda, Maha-nama, Ananda, che diventerà il Suo fedele attendente (upasthayaka) e Devadatta, futuro avversario di Buddha, che riteneva che le regole dell’Ordine dovessero essere rese più inflessibili e severe.
Sembra davvero che sia stato grazie ad Ananda se le donne furono accettate nell’Ordine, Devadatta non ne avrebbe mai perorato la causa davanti a Buddha, che comunque in un primo tempo rifiuta, seguendo in ciò l’uso della società brahmanica che non considerava la condizione ascetica adatta al sesso femminile.
Nel canto di Ananda, contenuto nel Kuddhaka Nikaya, egli stesso racconta di essere entrato al servizio di Buddha vent’anni dopo la Sua Illuminazione, e di essere rimasto al Suo servizio per venticinque anni. Altre tradizioni sostengono che Ananda sia divenuto upasthayaka del Maestro nell’anno 509 a.C., vale a dire quindici anni dopo l’illuminazione, quando il Buddha aveva cinquant’anni, rimanendo con lui sino alla fine.
Racconta Ananda nel suo canto contenuto nella sezione dei Theragatha, contenuti nel Khuddaka Nikaya, che Buddha richiedesse un bhikkhu che potesse essere permanentemente il Suo attendente personale, lamentandosi del fatto che i vari bhikkhu, che a turno Lo avevano servito, erano disattenti, sbagliando strada, lasciando cadere scodella e mantello. Tutti i monaci presenti si offrirono, mentre Ananda rimase seduto un silenzio e, sollecitato a spiegare il suo comportamento, disse che se egli avesse richiesto l’incarico non sarebbe stato un acquisto legittimo, solo il Maestro poteva indicare una persona di Sua scelta. Buddha allora invita i monaci a non assillare Ananda, aggiungendo che se quest’ultimo avesse deciso di accettare, avrebbe dovuto farlo in completa autonomia. Ananda a questo punto si alza e dichiara di essere pronto a servire il Maestro con totale dedizione, se quattro cose gli fossero state rifiutate e altre quattro concesse.
Queste le prime quattro: non avere in dono dal Maestro alcun indumento, né cibo ottenuto per Lui, né una cella fragrante separata (capanna fabbricata con legno di sandalo, che i ricchi del paese usavano donare ai monaci eminenti dell’Ordine), né di andare dove il Buddha era stato personalmente invitato. “Perché se il Beato non mi nega queste cose, qualcuno dirà: “Qual è il peso [di tale servizio]? Ananda serve allo scopo di ottenere vesti, buoni viaggi, alloggio e di essere incluso negli inviti”. Questo disse Ananda e continuò che gli fossero concesse queste altre quattro: essere accompagnato dal Maestro là dove lui stesso fosse stato invitato, accettare di ricevere le persone venute da lontano a trovare Ananda, acconsentire a ripetergli insegnamenti e di eliminare le sue perplessità. “Perché se Egli non mi concederà queste cose qualcuno dirà “Qual è il vantaggio [di tale servizio?]. Se il Maestro non accetterà di venire con me e di vedere le persone che Gli porto, la gente penserà che Egli non ha fiducia in me e non mi mostra alcuna attenzione. E se Egli non mi spiega la Dottrina e non fuga i miei dubbi, qualcuno dirà “Come mai, amico mio, non sai [questo], nonostante tu Lo segua come un’ombra?”. Se il Beato mi concederà queste otto grazie io Gli farò da personale servitore”. Ed il Beato gliele concesse.
Fu anche chiamato Bahushruta, “colui che ha molto udito”, ma fu accusato anche di non avere
chiesto delucidazioni al Buddha in varie occasioni, come in quella in cui il Maestro disse che alcune regole minori col mutarsi del tempo e delle condizioni avrebbero potuto essere modificate, ma Ananda non si informò di quali regole si trattasse. Ma anche dopo l’estinzione del Maestro c’era ancora qualcuno che lo chiamava kumaraka “ragazzo”, perché unico fra gli intimi discepoli di Buddha non aveva ancora raggiunto la condizione di Arhat, anzi sembra che non fosse nemmeno mai stato ordinato monaco. Si giunge così alla vigilia del concilio indetto, tre mesi dopo il Mahaparanirvana di Buddha. Il venerabile Arhat Mahakasyapa si accingeva a presiederlo e a far recitare dall’assemblea l’intero Canone, come avverrà e ancora avviene all’apertura di in ogni concilio buddista.
Ma la condizione oscurata di Ananda non sembra a Mahakasyapa consona al compito che solo Ananda, però, poteva assolvere: riportare tutti i discorsi di Buddha.
Così si narra che la sera prima del concilio, Ananda fosse scacciato dalla comunità e a nulla servissero le sue difese, come quella di confessare di non aver mai cercato con determinazione la liberazione, perché così non avrebbe più potuto servire il Buddha, un Arhat non può servire nessuno.
Ma era davvero tutto? si chiedeva Ananda, vagando solo, sentendosi inutile, inadeguato. Sapeva di essere debole nella contemplazione, sempre ansioso e irrequieto, sempre distratto da qualcosa.
Verso l’alba sentì sopraggiungere uno sfinimento che gli offuscava lo sguardo. Si abbatté sul giaciglio. Nel momento in cui la testa toccò il cuscino fu abbacinato. Nel momento in cui abbandonò anche il desiderio per la liberazione, ecco che la raggiunse. Nel momento in cui lasciò andare anche l’attaccamento per la condizione perfetta, ecco che la colse.
Quando Ananda si sollevò dal suo giaciglio era ancora buio. Camminò nella foresta prima di arrivare alla radura dove riposavano i monaci. Si avvicinò alla porta che poche ore prima Mahakasyapa aveva chiuso dietro di lui. Ananda bussò, la voce di Mahakasyapa, vigile e forte, rispose subito: ”Chi bussa?”. “Sono io, Ananda”. “Perché vieni da noi?”. “Questa notte ho raggiunto l’esaurimento delle correnti”. “Per te non apriamo la porta. Entra dal buco della serratura”. Ananda entrò dal buco della serratura. Nell’oscurità riconobbe gli occhi dei monaci,
fissi su di lui. Si prosternò e confessò le sue colpe. Poi guardò il suo accusatore e disse: “Mahakasyapa, non recriminare”. “Non avermene rancore, ” disse Mahakasyapa “ho fatto tutto perché trovassi la via. Ora torna al tuo posto”.

Tratto dall’introduzione e dal testo del “Khuddaka Nikaya” & da “Ka” di Roberto Calasso.

Max Di Palma & Giovanna Piana