CHANDRAKIRTI

Chandrakirti

Chandrakirti nacque a Samanta o Samana, cittadina nell’India meridionale, nel sesto secolo e in giovane età padroneggiò la conoscenza della Dottrina e fu ordinato monaco nel Sangha buddhista. Giunto a Nalanda, concentrò i suoi studi sui trattati di Nagarjuna e ottenne in quella università  la carica di Upadhyaya, cioè la cattedra di professore della Dottrina.

In quello stesso periodo Chandragomin, un laico seguace del sentiero del Bodhisattva, arrivò in quella regione e Chandrakirti, saputo della sua presenza, gli chiese di entrare nell’università con tutti gli onori, conferendogli, si direbbe oggi, una laurea “honoris causa”. Ma il regolamento di Nalanda permetteva l’accettazione tra i suoi studenti ai soli monaci ordinati e Chandrakirti, per aggirare l’ostacolo, escogitò un cerimoniale in onore di Manjusri, il Bodhisattva della Suprema Saggezza. Chandragomin recitò una preghiera davanti ad una sua rappresentazione e, si narra, che questa voltò il suo viso, come ad ascoltare, verso l’autore della preghiera. Da quel momento iniziò tra i due “Chandra” un periodo di sette anni di reciproche arguzie e di espressioni spiritose che insaporirono un’amicizia fondata su un grande rispetto reciproco. Chandrakirti rappresenta in questo rapporto l’ideale monastico e la completa padronanza sulla mente, mentre Chandragomin rappresenta la generosità che sorge dai voti del Bodhisattva.

Anche se Chandrakirti era oberato dal difficile compito di sovrintendere a Nalanda, acquisì non di meno poteri rimarchevoli attraverso un’intensa concentrazione. Tharanatha scrive di come Chandrakirti fosse in grado di mungere una mucca dipinta per nutrire gli altri o di come fosse capace di attraversare un pilastro di pietra con la mano.

Comunque dopo molti anni spesi alla guida dell’università, il maestro volle ritirarsi ad una vita di contemplazione e si recò al sud verso Konkuna, dove diede insegnamenti e raggiunta la collina conosciuta col nome di Manubhanga, si fermò lì per un lungo periodo di meditazione. Secondo la tradizione Mantrayana, Chandrakirti ottenne il più alto stadio della Siddhi e sviluppò il “Corpo di Arcobaleno”, passando in piena consapevolezza nel Nirvana.

Circa nel quinto secolo Buddhapalita e Bhavaviveka formularono opposti punti di vista sull’orientamento della filosofia Madhyamaka.

Buddhapalita, in linea con l’insegnamento di Nagarjuna, sostiene che la metodologia Madhyamika consiste interamente nella “prasanga”, cioè la riduzione delle asserzioni degli oppositori per mezzo delle loro stesse contraddizioni. Bhavaviveka replica che in quel modo i dialettici Madhyamika non potessero realmente sostenere le proprie tesi e si prodiga per dimostrare la validità delle proprie asserzioni.

Le Due Scuole della Madhyamaka hanno nomi differenti conferiti in base a come queste scuole generano nelle persone la visione che i fenomeni non esistono intrinsecamente. La scuola Svatantrika (rang rgyud pa) o Scuola “Autonomista” si basa sulle visioni di Bhavaviveka. Sono chiamati scuola degli “Autonomisti” perché usano sillogismi (predicato, segno e ragione) per fare in modo che un argomento stia in piedi di per sé. Usano Inferenze Autonome (svatantra=autonome, libere & inumana=inferenze, ragionamenti) per generare nell’opponente una cognizione della Vacuità. Gli Svatantrika rifiutano una Vera e Ultima Esistenza dei fenomeni per mezzo della logica e di ragionamenti (sillogismi) autonomi, essi però asseriscono che i fenomeni esistono per mezzo di “loro stesse caratteristiche” anche se in senso solo Convenzionale.

Quest'ultima visione è confutata da Chandrakirti e dalla scuola Prasangika.

La scuola Prasangika (thal ‘gyur dpa) o Scuola “Consequenzialista” è basata quindi sugli insegnamenti di Chandrakirti. Viene rifiutato il concetto di Esistenza Vera e di Esistenza Ultima dei fenomeni ma anche il concetto di esistenza inerente di qualsiasi caratteristica dei fenomeni.

Chandrakirti comprende che la dialettica di Nagarjuna possa eventualmente condurre taluni ad una visione nichilista, ma crede non di meno che la fondamentale intuizione di Nagarjuna sia il riconoscimento che nessuna formulazione possa essere vera e che ogni affermazione sia alla fine fuorviante e divenire un ostacolo sul Sentiero per l’Illuminazione.

La maniera di dibattere della scuola Prasangika fa uso del metodo di rivelare ogni tipo di Conseguenze di carattere inerente nei ragionamenti degli altri sistemi, che vengono riconosciute e confutate. La scuola Prasangika asserisce che nessun fenomeno, esiste per via di caratteristiche proprie, nemmeno a livello Convenzionale. In altre parole sono chiamati Consequenzialisti perché per essi una coscienza concettuale capace di realizzare la mancanza di esistenza intrinseca dei fenomeni può essere generata nel disputante solo tramite la dimostrazione di Conseguenze (Prasanga), non tramite l’esistenza di un concetto o sillogismo inerentemente esistente e quindi dimostrabile dai 2 dibattenti.  

Per i Prasangika, anche a livello puramente Convenzionale non c’è niente a parte della “Mera Designazione”, noi confondiamo le nostre designazioni mentali con la realtà. Tutti i fenomeni esistono solo come “mere designazioni”, non esistono inerentemente. Noi supponiamo come vera una “mera etichetta” sulla base della designazione. Noi ci attacchiamo ad una Realtà sostanziale che è in realtà Vuota di Esistenza Intrinseca ed inerente. 

La realtà ultima è in verità proprio la “mancanza” di esistenza inerente.

L’esistenza intrinseca è Apparenza.

Per Chandrakirti il sistema Yogacara è insoddisfacente, perché il concetto di “Vijnana”, la consapevolezza, altro non è che il concetto induista di “atman” variamente camuffato.

La differenza tra Yogacara e Prasangika Madhyamika si trova nella loro reazione ai concetti di Astitva and Nastitva, “è” e “non è”. Mentre gli Yogacara accettano “è” e “non è”, i Prasangika Madhyamika, come affermato da Chandrakirti, rigettano entrambe le possibilità.

Chandrakirti evita ogni positiva formulazione della Verità, non perché egli neghi la sua realtà, ma piuttosto in quanto egli dubita della possibilità di poter fornire una qualsiasi formulazione di essa.

Se qualsiasi formulazione della Verità è fuorviante, comunque il nichilismo, il temuto Ucchedavada, è ancora più pericoloso. La prima incoraggia la delusione nella fede che conduce gli esseri più vicino all’Illuminazione, mentre il nichilismo incoraggia la delusione che si prova nel trovarsi dinnanzi alla dimostrazione della mancanza di esistenza intrinseca dei fenomeni.

Questa dimostrazione si estende inevitabilmente ad asserire la non esistenza dell’esistenza, implicando che nulla debba essere fatto per ottenere l’Illuminazione.

Per Chandrakirti la negazione della realtà dei fenomeni non è la negazione dei fenomeni ed il riconoscimento che alcune delle nostre attività sono solo un’illusione, non è lo stesso ele cose sono parte di un processo, ci rende liberi dal dominio che esse hanno sulla coscienza. 

L’affermazione della realtà vera, non implica l’eliminazione della realtà relativa, anzi la prima non può essere concepita indipendente dalla seconda:  

“ L’IGNORANZA E’ IL MEZZO DELLA CONOSCENZA ”

Chandrakirti dice chiaramente che fino a che non si sia raggiunta la vera realtà bisogna lasciare in pace questa realtà relativa, la quale è non altro che illusione, ma al contempo è fonte di progresso spirituale nel cammino verso la Liberazione.

Questa affermazione è contenuta nel suo trattato “Prasannapada” (Parole Chiare), dove Chandrakirti sta contestando precisamente il grande logico Buddhista Dignaga, che costruisce il suo edificio dialettico sulle rovine del senso comune, cadendo nell’errore di rifiutare una parte della realtà relativa e di attribuire all’altra un valore assoluto, dimenticando che tutte le parole in quanto tali, non hanno valore, perché la verità trascende il linguaggio.

Pramana (significa misurare correttamente, senza errore); è il modo in cui la mente procedere dall'ignoranza alla saggezza, da “concetti” a “ percezioni dirette”.  La Conoscenza  o “Pramana” è l'apprendimento corretto o la corretta percezione degli oggetti. Per le scuole diverse dalla Prasangika “Pra” significava “Primo” e “Mana” significava “Valido apprendimento” o “valido riconoscimento” cioè “Primo valido apprendimento” cioè “Percezione Valida Precedente”. Mentre per i Prasangika “pra” non significa  “primo” ma “principale, primario”, cioè l'oggetto principale di percezione (qui notiamo che il termine "pra” è lo stesso ed ha lo stesso duplice significato del prefisso indoeuropeo “pri” che significa primario, principale, ma anche: primo).

Per altre scuole la conoscenza è una mente che realizza l'oggetto “prima”, per esse la "coscienza successiva” o “conoscitore successivo” (percezione seguente) non è conoscenza perché è solo un “ripetersi” della prima percezione che è quella valida. Per tali scuole solo la Percezione Diretta è senza errori.

Per i Prasangika “Pra” significa “principale” e la “coscienza successiva” o “conoscitore seguente” è molto importante. Per i Prasangika la Mente di Percezione (percezione diretta) può essere erronea e quindi anche per lei abbiamo bisogno di rimediare ai suoi errori.

Il Prasannapada è l’unico commentario a Nagarjuna che ci sia pervenuto in forma integrale nell’originale sanscrito.

Capire la natura illusoria del mondo fa parte dell’emancipazione dall’illusione, e molti passaggi sono necessari per ottenerla. Colui che desidera davvero essere libero dalla ruota del Samsara deve innalzarsi progressivamente attraverso le “Dieci Terre”, cioè le Dashabhumi del Sentiero del  Bodhisattva. Questa impresa dipende in misura minore dalla fede, che offre solo un supporto provvisorio e temporaneo, mentre fondamentale è la coltivazione delle Tre Pratiche, cioè la Compassione, karuna, la Comprensione non-duale, gnyis med kyi blo e la Mente dell’Illuminazione, bodhichitta . Queste pratiche riorientano radicalmente la nostra percezione e la nostra consapevolezza.

Chandrakirti inizia il suo Madhyamakavatara (Supplemento alla Via di Mezzo) con l’offrire un omaggio alla Compassione, la leva che può farci muovere da uno stadio inferiore a quello superiore sul Sentiero del Bodhisattva. Senza Compassione si sarebbe indifferenti alla propria e all’altrui condizione, mentre per mezzo di essa, proviamo un senso di profonda intimità con tutti gli esseri che nel mondo fenomenico cercano uno scampo dal dolore. Ancora attraverso la Compassione sentiamo l’urgenza di salvare tutti dall’infinita catena delle rinascite e della sofferenza e solo questo riesce a spronarci nell’intraprendere il Cammino del Bodhisattva.

La meditazione sulla Compassione ci aiuta a riconoscerne i diversi tipi:

la Sattvalambana karuna  è la Compassione che sorge nel vedere la sofferenza comune a tutti gli esseri, la “dukha”, causata dalla mente incontrollata.

La Dharmalambana karuna, è la Compassione che sorge nell’osservare che i fenomeni e gli esseri non hanno una natura indipendente, ma dipendono dai loro aggregati, gli “skanda”, che, temporaneamente riuniti, generano l’illusione delle entità.

L’ultima è la Analambanalambana karuna, cioè la Compassione che riconosce il Vuoto, “shunyata”,  come caratteristica della realtà.

Chandrakirti pone altresì l’accento sul potere del donare, dana, come azione virtuosa sia per coloro che lo fanno per compassione, sia per coloro che ne sono estranei. Il donare porta felicità che conduce al secondo stadio dei Bhumi, quello “Senza macchia” e dove l’osservanza dell’Etica porta all’astensione delle sette azioni negative.

Il Supplemento alla Via di Mezzo, Madhyamakavatara, tenta di proporre una spiegazione comprensibile della realtà convenzionale e della realtà ultima e mostra le differenze tra la visione Prasangika e quelle delle altre scuole, come la Svatantrika e la Cittamatra.

Rispetto ai Madhyamika Svatantrika, i Prasangika non accettano la vera esistenza dei fenomeni, nemmeno della più piccola particella, affermando che l’afferrarsi alla vera esistenza è un impedimento alla Liberazione. Inoltre sostengono che gli Arya realizzano la mancanza di sé dei fenomeni.

Rispetto ai Cittamatra i Prasangika accettano l’esistenza di fenomeni esterni, ma non accettano l’esistenza dell’autoconoscitore e neanche della coscienza base o coscienza deposito “alayavijnana”

In più affermano che la disintegrazione è una proprietà dei fenomeni e forniscono una presentazione speciale dei tre tempi.

Quando Tsong Khapa darà in Tibet nuova vita alla tradizione buddhista si ispirerà principalmente agli scritti di Nagarjuna e Chandrakirti nel costituire il cuore della filosofia della scuola Gelugpa.

Se Nagarjuna è da considerare come il fondatore della Madhyamika, Chandrakirti è a tutti gli effetti il vero iniziatore della grande scuola Madhyamaka Prasangika nella sua più rigorosa e sublime espressione.